2014

La Guerra del Calcio

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Una partita di calcio e 6000 morti in cinque giorni: una storia sanguinosa dall’America Latina

RYSZARD KAPUSCINSKI – Se non avete mai letto niente di Ryszard Kapuscinski, beh, dovreste farlo il prima possibile. Stiamo parlando di uno dei reporter più famosi del Novecento, un giornalista polacco che ha vissuto in prima persona molti avvenimenti che purtroppo sono passati in secondo piano, ma storicamente hanno avuto un’importanza colossale. Inviato dall’Urss, dall’Africa, dall’America Latina è stato per i paesi poveri – soprattutto occidentali – quello che per l’Oriente fu Tiziano Terzani: in poche parole Kapuscinzki è stato un esempio da seguire. Tra i suoi scritti figura il bellissimo La prima guerra del football e altre guerre di poveri, dove trova spazio la prima e finora unica guerra del calcio mai combattuta nella storia, in questo caso contesa tra El Salvador e Honduras. Attenzione a non fraintendere, è una guerra e non una partita di pallone, anche se il calcio c’entra eccome. 14 luglio 1969 – 18 luglio 1969, un conflitto cortissimo – chiamato anche Guerra de la Cien Horas – ma che è stato tra i più violenti del dopoguerra.

CONTESTO STORICO – Facciamo un passo indietro. Sono gli anni Sessanta e, escluse Canada e USA, le nazioni americane non se la passano benissimo; inoltre la decade terminerà con i Mondiali in Messico e la Coppa Rimet significa visibilità mondiale, un dato da tenere sott’occhio. Nel Centro America El Salvador e Honduras vivono da sempre rapporti tesi e turbolenti, specie da quando gli Stati Uniti hanno instaurato nel 1960 il Mercato Comune Centroamericano: El Salvador è la nazione più ricca, Honduras quella più povera e i salvadoregni, visto lo spropositato aumento demografico e di conseguenza anche del tasso di disoccupazione, chiedono agli honduregni, guidati dal dittatore Oswaldo Arellano, di poter “ospitare” alcuni connazionali per poter lavorare le terre del posto e aiutare lo stato vicino, caratterizzato da forte arretratezza tecnologica e agricola. Dapprima l’Honduras accetta, anche perché a El Salvador il presidente Fidel Sanchez Hernandez teme rivolte popolari per la disoccupazione e nel 1967 i due paesi stipulano la Convenzione bilaterale sull’immigrazione. Tutto sembra andare nel verso giusto ma nel 1969 i continui tumulti e le manifestazioni di piazza – siamo in America Latina e negli anni Sessanta, non ci vuol molto per trasformare una protesta in un bagno di sangue – dissuadono Arellano dal continuare la collaborazione con i salvadoregni e a rimandare in massa nel paese natio i quasi 300000 di El Salvador che stavano lavorando le terre honduregne.

L’ANDATA IN HONDURAS – Come detto a breve si devono disputare i Mondiali di calcio in Messico e le nazioni centro e nord americane possono mandare alla rassegna un’altra squadra oltre al paese ospitante. Dopo la fase a gruppi, in semifinale si affrontano proprio El Salvador e Honduras. Teniamo bene a mente le date, siamo nel giugno del 1969, precisamente 8 giugno 1969, e proprio in quei giorni il dittatore Orellano sta decidendo per il rimpatrio dei salvadoregni. A Tegucitalpa quella sera è un inferno: l’Estadio Nacional ribolle di rabbia e di nazionalismo, non si scontrano solamente due nazionali ma, secondo l’ottica honduregna, gli sfruttatori e invasori contro gli sfruttati. E’ in questa atmosfera particolare che scendono in campo le due compagini, e con uno scenario del genere l’Honduras non può non vincere. Lo fa anche nella maniera più beffarda possibile, con un gol di Wells a pochi secondi dal fischio finale, il modo migliore per avere una rivincita perlomeno sportiva. Questo per quanto riguarda il calcio, è il contorno che come sempre dà un’idea migliore di che partita sia stata: la figlia di un ufficiale salvadoregno si uccide per il dispiacere e le vengono tributati funerali di stato; sfuttando la concomitanza con uno sciopero degli insegnanti, molti manifestanti il 9 giugno 1969 attaccano il pullman di El Salvador; i salvadoregni giurano vendetta per la semifinale di ritorno, una settimana dopo a San Salvador.

IL RITORNO A SAN SALVADOR – Jorge Magico Gonzalez è uno dei migliori giocatori di tutti i tempi. Non lo conoscete, è normale, ma si meriterebbe una bibliografia a parte. Oggi lo stadio della capitale salvadoregna è intitolato a lui, ma un tempo, ovvero il 15 giugno 1969, si chiamava ancora Estadio de la Flor Blanca. Proprio in quell’impianto le due nazionali disputano la gara di ritorno, non prima di qualche altro fatto di cronaca tutt’altro che secondario: un ragazzo che accompagna la squadra dell’Honduras, ad esempio, viene ucciso a sassate dai tifosi locali (tifosi, li chiamiamo così per semplificare, si tratta più di guerriglieri che di calciofili veri e propri). Come hanno fatto gli honduregni una settimana prima, i tifosi di El Salvador cercano di disturbare il più possibile gli ospiti assediando l’hotel e tirando bombe e uova marce contro l’albergo di Honduras. In questo clima surreale El Salvador in un tempo strapazza gli avversari, Acevedo e due volte Martinez regalano un tre a zero al team di Carrasco e le regole dell’epoca obbligano le due squadre alla bella in Messico. Altro elemento da non sottovalutare, gli honduregni arrivano all’Estadio de la Flor Blanca e se ne vanno in entrambi i casi scortati dai carri armati. L’appuntamento è a Città del Messico, il 26 giugno 1969.

LA GUERRILLA DELL’AZTECA – Le partite che si giocano all’Azteca non devono essere normali: dopo novanta minuti intensi e due gol per parte, Honduras e El Salvador decidono la qualificazione alla finale ai tempi supplementari, dove la sfangano i salvadoregni grazie allo storico gol di Mauricio Alonso Rodriguez al centesimo. Per la polizia messicana è impossibile evitare che i tafferugli tra tifosi degenerino e infatti si scatena la guerriglia urbana nella zona antistante allo stadio. E’ pura follia collettiva. Il giorno dopo il generale Arellano rompe definitivamente i contatti con El Salvador, è l’inizio della fine. Parte la Guerra del Calcio come l’ha soprannominata Kapuscinski. A dire il vero il via è il 14 luglio 1969, quando il presidente Fidel Sanchez dichiara una guerra di legittima difesa per l’onore e la dignità di El Salvador, colpite nell’orgoglio dopo la decisione di Arellano di venire meno alla convenzione sull’immigrazione. L’Honduras viene colto di sorpresa e nei primi due giorni di conflitto subisce molte perdite senza potersi organizzare al meglio. El Salvador ha un’artigliera migliore – made in USA, ovviamente – e sia via aerea che via terra può dimostrare la sua superiorità. Tutto questo fino al 16 luglio 1969, data del primo vero contrattatcco decisivo dell’Honduras, giunto via terra.

GUERRA DE LAS CIEN HORAS – La guerra è intensa, dura poco più di cento ore ma le strategie cambiano di minuto in minuto e c’è anche tempo per gente come l’honduregno Fernando Soto Henriquez di passare alla storia per la battaglia aerea che salvò l’area del suo paese al confine sud. Il 18 luglio l’Organizzazione degli Stati Americani impone il cessate il fuoco: l’Honduras accetta ma El Salvador continua la sua orgogliosa campagna anti-honduregna ed è famoso il comunicato alla nazione che quel giorno fa Fidel Sanchez. Di fatto la guerra termina in quell’istante anche se le truppe salvadoregne si ritireranno il 5 agosto e solamente nel 1992 la Corte Internazionale di Giustizia risolverà la controversia sui confini nazionali. Cinque giorni di conflitto portano dietro seimila morti, dei quali almeno tre quarti honduregni. Ai Mondiali del 1970 prenderà parte El Salvador, vittorioso nello spareggio contro Haiti. Le due nazionali si ritroveranno di fronte nel 1981 nella coppa Concacaf, un anno dopo il trattato di pace tra i due stati. In America, scriverà poi Kapuscinski, il confine tra calcio e politica è talmente sottile che risulta impercettibile.

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