2014

La doppia prova del nove

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Allegri ha capito di poter essere il leader giusto per la nuova Juve, mentre il Milan di Inzaghi deve ancora crescere

Novanta minuti giustamente attesi, nemmeno caricati troppo sul piano psicologico ed extra-calcistico, con la giusta attesa legata all’importanza della partita, tra due delle squadre più forti della storia del nostro calcio e di quello europeo,  e ai tanti incroci e casi che vedevano come protagonisti milanisti e juventini. E doveva essere, oltre alla sfida tra Milan e Juventus, anche il confronto tra due allenatori, che tanto hanno dato ad entrambe le piazze e che si sono resi conto, forse una volta e per tutte e grazie a questa partita, di quali sono poteri, potenzialità e ambizioni delle loro nuove mansioni, accettate con entusiasmo e un po’ di sorpresa durante l’estate.

Massimiliano Allegri era sicuramente l’uomo più atteso, nel giorno che segnava il suo ritorno a Milano da avversario, dopo aver concluso tre campionati sulla panchina del Milan senza essere mai sceso sotto il terzo posto e portando sempre i rossoneri almeno al primo turno a eliminazione diretta di Champions League, salvo poi prendere una serie di imbarcate un anno fa e ricevere l’inevitabile benservito dai vertici del club, che ai tempi aveva ancora sede in via Turati. Il suo arrivo alla guida della Juventus sembrava essere “l’inizio della fine”, come molti tifosi juventini e tantissimi appassionati di calcio avevano apostrofato l’inizio di una nuova era per Madama, per la prima volta dopo tre anni e mezzo senza Antonio Conte in panchina. E invece, poco o nulla sembra essere cambiato nel passaggio di consegne tra il tecnico pugliese e quello toscano: Allegri ha vinto tutte le quattro sfide giocate finora, senza subire gol ed esprimendo un bellissimo calcio, sia grazie agli interpreti a sua disposizione che alla sua filosofia, fatta di tanto possesso palla e inserimenti sia dalle corsie laterali che dagli uomini di punta del centrocampo.

Non è un caso che il gol della Juventus sia arrivato da una delle giocate di punta dell’Allegri allenatore: l’elemento di maggior talento ed imprevedibilità del centrocampo che scambia in maniera impeccabile con la principale bocca da fuoco dell’attacco. Tevez-Pogba-Tevez, l’assist del francese a dir poco delizioso e l’inserimento a 100 all’ora dell’Apache, freddo come sempre e capace di piegare le dita ad Abbiati, prima di portare il ciuccetto alla bocca e mandare in visibilio il popolo bianconero che ha invaso San Siro per ribadire la superiorità della Vecchia Signora sull’intera Italia calcistica.

Ma se da una parte c’era Allegri, dall’altra c’era Inzaghi, uno che con Acciughino è andato raramente d’accordo durante la reciproca convivenza in rossonero. L’uomo che è riuscito a segnare il gol numero 300 in carriera, all’ultima partita tra i professionisti, nonostante il suo allenatore lo avesse tenuto in panchina per quasi un’ora di gioco. L’uomo che ora ne ha preso il posto sulla panchina del Milan, che ha restituito allegria ed entusiasmo al popolo rossonero e soprattutto allo spogliatoio, quasi depresso sul finire dell’avventura Allegriana e durante la breve parentesi con Clarence Seedorf in panchina. L’uomo che aveva portato due vittorie, non senza sofferenze ma soprattutto con un calcio offensivo molto arioso e a tratti spettacolare, prima della prova del fuoco contro la squadra più forte d’Italia. La squadre che, con SuperPippo in attacco, ha vinto un paio di scudetti prima di veder partire il bomber emiliano alla volta di Milanello e avviare una ultra-decennale storia d’amore con la Curva Sud rossonera.

E proprio grazie alla sconfitta patita contro la Juventus, Inzaghi potrebbe aver capito una serie di cose, sia sui suoi metodi di allenamento che sulle reali ambizioni del suo Milan. In primis, SuperPippo non sembra essere ancora in grado di impostare una partita legata soprattutto al catenaccio e al contropiede, almeno non contro squadre che puntano sulla solidità del reparto arretrato e sulla forza bruta e la qualità del gioco in mezzo al campo. Il Milan di oggi deve pensare soprattutto a sfruttare le proprie potenzialità, soprattutto la fantasia e l’imprevedibilità dei giocatori offensivi e la spinta senza sosta dei propri esterni, in attesa di vedere all’opera il giocatore più atteso dopo la chiusura del mercato, ovvero quel Fernando Torres lanciato nella mischia contro la Juventus senza che El Niño potesse realmente rendersi protagonista. E soprattutto, il Milan di oggi non è ancora in grado di lottare per le prime tre posizioni della classifica: a differenza della primissima Juve di Conte, mancano organizzazione difensiva e soprattutto rabbia agonistica, due capisaldi della formazione bianconera tornata sul tetto d’Italia dopo l’inizio dell’era-Calciopoli.

Bel gioco e gol a raffica non possono bastare a Inzaghi e al Milan per garantirsi il tricolore, nè la zona che vale l’accesso in Champions League. Dall’altra parte, Allegri può sorridere perchè ha una squadra galattica se paragonata al resto delle pretendenti per lo scudetto, ma che può e deve crescere per giocarsela quantomeno alla pari con le grandi d’Europa. E per entrambi, la strada sembra essere tutt’altro che in salita.

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