2013

La discriminazione territoriale e altri metodi infallibili per chiudere gli stadi

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Un’analisi sull fenomeno razzismo in Italia e anche sui recenti episodi che hanno portato a gravi sanzioni per alcune squadre

PORTE CHIUSE PER GLI SPIFFERI – L’Italia è un paese essenzialmente razzista. L’italiano medio offende oberato dai pregiudizi, ma forse lo fa senza nemmeno starci a pensare più di tanto, perché in fondo in fondo c’è un’offesa per tutto. Gioca un giocatore di colore? La squadra avversaria viene dal quartiere ebraico? Il numero dieci è nato al Sud? Esiste sempre un campo semantico al quale rivolgersi per urlare improperi dagli spalti, visto che il tifoso – italiano specialmente – fa dell’essere becero un’arte. Non ci stiamo ad addentrare in questioni sociologiche, cattivi comportamenti vengono da cattivi modelli e questo è vero e in un paese in cui un ministro di colore viene offeso un giorno sì e l’altro pure a prescindere dal lavoro che svolge certo non aiuta affatto. La questione diventa di colpo difficile da esaminare quando si arriva a parlare di calcio e, per esempio, viene chiuso San Siro per via di alcuni cori dei tifosi del Milan. Esuliamo per un attimo dalla questione della discriminazione territoriale, sulla quale torneremo, e concentriamoci sul comportamento degli ultras milanisti: i cori verso i napoletani, per quanto cantati in molti stadi italiani, di per sé sono sbagliati; per una partita gli ultras vengono puniti e la curva chiusa e quindi si crea un precedente, il tifoso milanista diventa recidivo e deve guardarsi dall’agire in maniera sconsiderata in futuro. La sera stessa della partita con la curva chiusa i tifosi sono fuori ad inneggiare contro i napoletani, ancora una volta, e così anche nella partita successiva. Perché? Perché se sai di commettere una stupidaggine continui ugualmente a farla? Perché poi ti lamenti se ti chiudono lo stadio? Hai sbagliato, sei stato avvertito ma hai continuato a fare idiozie. La punizione oggettivamente è giusta.

LA DOMENICA ALLO STADIO – Attenzione però, la colpa è sì dei tifosi rossoneri in questo caso, ma il problema è più ampio e non parliamo solamente della solita bacata e rozza mentalità italica. Il vero problema sta nel metro di giudizio. Si è parlato di discriminazione territoriale, e di questo si può tranquillamente fare di tutta un’erba un fascio. Che siano i napoletani – che per inciso si prendono offese nel 90% degli stadi italiani da minimo cinquant’anni – oppure la squadra del comune confinante nel più infimo dei derby di Lega Pro, la discriminazione territoriale entra in gioco laddove scattano offese razziste o che riguardano la dignità delle persone. Bene, i milanisti offendono i napoletani, il codice di giustizia sportiva lo vieta e i giudici della FIGC applicano la norma chiudendo tutto o parte dello stadio del Milan, fin qui ci siamo e vista in quest’ottica pare una cosa normale. Torna poco invece l’applicazione della discriminazione territoriale in senso lato, visto che chi giudica è a sua volta una persona che è condizionabile. Ad esempio, si è punito il Milan, ma sui cori di altre curve sempre contro i napoletani non si è fatto nulla. Da secoli i morti dell’Heysel vengono vergognosamente presi in giro e nessuno si è mai mosso se non per qualche rimprovero. Prima di Bologna – Hellas Verona è scoppiata una guerriglia e il pullman gialloblu settimane fa a Roma venne assalito, ma si fanno quasi orecchie da mercante. Gli stessi supporters scaligeri, recidivi di natura, hanno cantato un coro diciamo sospetto durante il minuto di silenzio per le vittime di Lampedusa e in altri stadi italiani gli ultras hanno fatto partire l‘inno di Mameli, come per ribadire che loro, loro in curva a cantare, erano italiani e non della razza di quei morti in mare.

PAROLE FORTI – Razza, discriminazione, antisemitismo, territorio, razzismo. Avreste mai pensato in vita vostra di ritrovarvi a contatto con questi termini nel mondo del calcio? Eppure in Italia sembra sempre che ci sia una soluzione per tutto, quando i problemi perdurano dall’alba dei tempi. Si dovevano fermare i facinorosi, sono stati installati tornelli, i biglietti sono diventati nominativi e in alcuni casi sono raddoppiate le forze dell’ordine allo stadio. Eppure ancora oggi per dei cori insolenti di alcuni presunti tifosi ci sono persone oneste che non possono andare a vedere la partita della propria squadra del cuore dal vivo. Cercare di stanarli uno a uno sarebbe un discorso troppo qualunquista e un’ipotesi difficilmente attuabile, dunque ritorniamo al punto di partenza, una vera e propria soluzione non c’è. Qualche miglioria però andrebbe fatta anche perché così facendo il tifoso bifolco passa e passerà da impunito in ogni circostanza. Le società – checché si dica a proposito della legge sugli stadi, ma questo meriterebbe un libro a sé – dovrebbero prendere le distanze invece di difendere gli ultras, mentre invece di multe irrisorie la federazione dovrebbe incominciare ad inasprire le pene. Immaginate utopicamente una società costretta a pagare un milione di euro perché i tifosi hanno fischiato giocatori di colore, molto probabilmente il problema razzismo verrebbe se non risolto comunque arginato.

MINORANZA – Poi come al solito diventa tutto ridicolo. Pensiamoci bene, a che punto siamo arrivati? Vogliamo davvero che da un pallone esca tutto questo? Se è vero che il calcio, come dicono in molti, è lo specchio della società, allora siamo messi davvero male, più che altro perché il calcio ha ormai preso possesso della società. Siamo il paese degli eccessi, non riusciamo a concentrarci su qualcosa che già qualcos’altro va a monte, passiamo dalla troppa tolleranza a diktat militareschi, tutto questo per colpa di minoranze. Ma se davvero si tratta di minoranze, viene lecito chiedersi come mai da anni nessuno è riuscito a fermarle.

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