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2016

La coerenza del bambino Klopp

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Liverpool – Borussia Dortmund 4-3: la sfida dell’anno

Fin da bambini siamo abituati a giocare contro i nostri migliori amici e abbiamo sempre voluto batterli”. Così Jurgen Klopp, alla vigilia della sfida d’andata tra il suo passato ed il suo presente: da una parte il Borussia Dortmund con cui è diventato grande, dall’altra il Liverpool con cui vuole tornare ad esserlo. Ammesso che per qualcuno una stagione di appannamento sia bastata a ridurne la portata.

VINCE IL BORUSSIA – La sfida la vince il presente, il Liverpool. Che è lontano anni luce dal suo passato: la scrupolosità con cui aveva ordinato il caos giallonero senza limitarlo, senza ridurlo ad un ordine non funzionante, resta uno degli esperimenti più riusciti e futuristici della recente storia del calcio. Il Borussia Dortmund dei due titoli di Bundesliga consecutivi contro il colosso Bayern Monaco, della finale di Champions League con la gloria svanita proprio nei battiti finali e guarda caso ancora con i bavaresi. Questo Liverpool non soltanto è work in progress, ma è da definirsi allo stato primordiale se il target che la natura ambiziosa di Jurgen Klopp si è prefisso è dato da quella fusione di colori gialli e neri che spiazzarono l’Europa del pallone.

VINCE IL LIVERPOOL – Tocca ripeterci: la sfida la vince il presente. Sì, perché dopo l’1-1 del Westfalenstadion la vicenda qualificazione è tutta aperta: in palio la semifinale d’Europa League ed il destino ha voluto – come spesso accade – che a giocarsela siano passato e presente di Jurgen Klopp. Nel secondo atto dell’Anfield Road va in scena la sfida dell’anno: il Borussia Dortmund è avanti di due reti dopo appena otto minuti e mai nel post-Klopp era stata così somigliante ai fasti di un tempo, dominante negli spazi ed illeggibile nello sviluppo della manovra. I conti vanno però fatti con il cuore Liverpool: il gol di Origi in apertura di ripresa arriva e la Kop è pronta a scrivere l’ennesima pagina della sua acrobatica storia, ogni riferimento al 3-3 dell’Ataturk con il Milan di Ancelotti non è casuale, ma la rete dell’1-3 di Reus ha il sapore della sacralità.

IL BAMBINO KLOPP – E’ finita: manca una mezzora di gioco e segnare tre gol al Borussia dopo la mazzata del buon Marco sembra impossibile. La perla di Coutinho e le reti dei due centrali difensivi – chiamasi spirito? – Sakho e Lovren, che nell’arco della partita si erano segnalati più per disastri che altro, cambiano la storia dell’incontro, della competizione, ma più di ogni altro aspetto ci regalano un’indimenticabile pagina di calcio. Lo stadio è in piedi, You’ll never walk alone è intonato persino dai dirigenti Reds. In tutto questo poco ordinabile caos è una la persona a non perdere un filo di coerenza: Jurgen Klopp. Lo ha detto alla vigilia della doppia sfida: siamo abituati a giocare con i nostri amici d’infanzia e a volerli battere. Gli allenatori che ripetono sempre le stesse frasi trite e ritrite prendano appunto. E da copione si comporta: esulta come uno della Kop nel corso della rimonta, perde il senno al gol di Sakho e resta freddo al timbro finale di Lovren. Perché lì sul 4-3, sul 4-3 al 92’ minuto, su quel 4-3 al tuo passato concedi l’onore delle armi. Ricordi ogni cosa in un istante e quasi non comprendi come il tutto stia accadendo proprio a te.

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