L'insostenibile peso di chiamarsi Maradona, senza esserlo - Calcio News 24
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2015

L’insostenibile peso di chiamarsi Maradona, senza esserlo

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maradona hugo

Il fratello ne tesseva le lodi, lui lo smentiva sul campo. Eppure Castagner ci ha provato…

Esistono cognomi pesanti, esistono anche uomini pesanti. Poi c’è Hugo Maradona, la perfetta sintesi dell’uno e dell’altro. Giocare a calcio e chiamarsi Maradona: quale circostanza potrebbe creare aspettative maggiori? Nessuna. Sarebbe come ipotizzare un giovane chitarrista che si chiama Hendrix, un aspirante pittore che si chiama Van Gogh: nel cognome stesso è racchiuso un universo che non lascia spazio per errori, per la mediocrità, per ciò che non è meraviglioso. Dici Maradona e vedi un uomo che salta difensori come birilli, che inventa parabole, che infiamma una piazza e la conduce sul tetto d’Italia: è un’associazione diretta, che spiega al meglio il peso di quel cognome. Poi provi a pensare ad Ascoli, ad un diciottenne appena arrivato dall’Argentina, a rare apparizioni sistematicamente deludenti: tutto l’abisso che separa un Diego Armando da un Hugo Hernan si manifesta così, impietosamente. La nomea di raccomandato, al momento dell’approdo in Italia, non poteva che precedere il trequartista, fratello minore dell’uomo simbolo del Napoli che aveva saputo regalare lo scudetto ai partenopei ed il Mondiale all’Argentina. Una fama, quella di essere “fratello di”, che il campo non riuscì mai a smentire, men che meno in Serie A.

GARANTISCE DIEGO – Estate 1987, l’Argentina celebra ancora il trionfo ai Mondiali dell’anno precedente e Diego Armando Maradona è a tutti gli effetti eroe  in patria come in Italia, sua terra d’adozione. Il richiamo della famiglia, si sa, non è cosa da poco né per un argentino che si rispetti né per un napoletano, seppur acquisito: il nome di Hugo Hernan Maradona iniziò dunque a circolare anche in Italia dopo un buon Mondiale Under 16 disputato dal fratello minore del Pibe de Oro. Il Napoli, euforico e fresco di scudetto, assecondò il suo campione e contribuì dunque a portare in Italia anche il fratellino, pur prestandolo altrove (provvisoriamente, almeno nelle intenzioni). Pisa e Pescara mostrarono doti profetiche e si tirarono fuori da questa romantica storia di ricongiungimento fraterno: non si accollarono la responsabilità di coccolare il piccolo Maradona in vista del sognato lieto fine (quello in cui Hugo Hernan raggiungeva Diego a Napoli dando vita ad una coppia da libro cuore). Niente libro cuore invece ad Ascoli, furono i bianconeri a prendere in prestito Hugo, e Maradona per il calcio restò uno e uno soltanto: Castagner, allenatore dei bianconeri, mostrò inizialmente di voler anche dare a Hugo quel briciolo di fiducia che non si nega a nessuno, ci mancherebbe. Il campo però espresse il proprio verdetto e fu più severo del buon Ilario: l’unico appuntamento con Napoli fu la sfida col fratello Diego al San Paolo, in veste di comparsa, e le presenze nella stagione 87/88 furono appena 13, di cui solo 3 da titolare. Ed ogni esclusione di Huguito rappresentava una sfida a Diego Armando, pronto a raggiungere Ascoli per chiedere a Castagner: «Perché? Che ti ha fatto di male?».

IL GIRO DEL MONDO – L’Ascoli visse il proprio lieto fine, ottenendo l’obiettivo salvezza, ma l’avventura italiana dell’altro Maradona si consumò in una sola stagione, prima dell’addio (almeno nelle vesti di calciatore). Hugo tentò la fortuna in Spagna e in Austria, con le maglie di Rayo Vallecano e Rapid Vienna, ma il calcio Europeo non riuscì mai a conoscere per esperienza diretta le grandi cose che Diego Armando lasciava intuire del fratello minore. Come d’abitudine, per ogni fallimento calcistico che si rispetti, l’epilogo prevede esperienze esotiche ai confini del calcio che conta. I migliori ricordi calcistici di Hugo Maradona parlano infatti giapponese e con la maglia dell’Avispa Fukuoka il fratello d’arte si tolse qualche soddisfazione in J-League prima di volare a Toronto e di tornare in Giappone, a Sapporo, per chiudere la carriera a soli 28 anni. Un nome importante spalanca spesso porte altrimenti impossibili da attraversare, la storia di Hugo Maradona lo dimostra, ma quando questo nome non è solo importante, toccando le vette della leggenda, il suo peso finisce per non essere sostenibile. Neanche se sei argentino, neanche se indossi la maglia numero 10.

 

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