2016

La Juve e i giorni del primato

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Tutti i sorpassi decisivi dell’ultimo quinquennio bianconero

Esistono infiniti modi per leggere la Juventus del quinquennio che abbiamo attraversato. Come le variazioni tattiche non sempre viste per intero, quest’anno Allegri ha utilizzato “solo” 25 volte su 38 gare l’abito che più si addice alla squadra, il famoso 3-5-2 di confezione Contiana, riveduto, corretto e adattato secondo i principi del nuovo mister. Oppure, molti commentatori sottolineano come i successi bianconeri siano figli di un generale ridimensionamento del calcio italiano; anche se poi è del tutto evidente che il titolo più clamoroso per modalità nel raggiungerlo e più emblematico della solidità bianconera sia proprio l’ultimo dei cinque, in un torneo che tutti hanno giustamente considerato di maggior livello, vuoi per i risultati raggiunti dalle big (un Napoli da record, ma anche Roma e Inter hanno migliorato lo score dell’anno precedente), vuoi per un atteggiamento coraggioso di molte formazioni, compresi alcuni “miracoli” di provincia come Sassuolo ed Empoli, che fanno pensare all’esistenza di una novità che non potrà che essere contagiosa nell’immediato futuro. Nello storytelling del quinquennio si possono capire tante cose andando a isolare il momento nel quale la Juventus ha conquistato il primato, per poi rafforzarlo e non mollarlo più fino alla fine. Ne esce fuori un radiografia veritiera delle identità proposte nel tempo. Particolarmente indicativi sono le sezioni cronologiche dell’avvenuta registrazione della propria supremazia e anche le modalità con le quali quella specifica partita è stata vinta. Sono tre mini-racconti, alcuni dei quali persino dimenticati nella memoria dei tifosi perchè nessuno può ragionevolmente pensare di doversi soffermare con grande attenzione quando si prende la vetta a tante giornate dalla conclusione. Ed invece, è già quello l’istante che conta, il giorno della verità.

  1. COGLIERE L’ATTIMO – Il campionato che più vede un testa a testa tra due aspiranti al tricolore è il primo. La Juve si laurea campione d’inverno, ma il Milan guidato da Allegri la sorpassa al ritorno. Il 7 aprile 2012, però, i rossoneri si suicidano in casa contro una Fiorentina non particolarmente brillante. L’occasione del sorpasso è ghiotta e persino la circostanza che sia stato il “vituperato” (eufemismo) Amauri a regalare la possibilità viene colta come un segno del destino. Ma il “regalo” va comunque scartato in fretta, potrebbero non esserci altre possibilità. E qui, a Palermo, emerge nitidamente la caratteristica principale della Juventus di Conte. Che all’apparenza è l’intensità, visto il gioco praticato con ritmi non comuni al calcio nostrano. Ma tante accelerazioni si sposano anche a una certa inconcludenza offensiva, ovvero qualche spreco di troppo. Però, e i numeri lo certificano, quella Juve è già quella inscalfibile del 3-5-2 della BBC. Gli avversari si logorano anche perchè non riescono a tirare in porta. Ed è proprio uno dei componenti, Leonardo Bonucci, a siglare la rete del vantaggio, raddoppiato poi da Quagliarella. Il tutto nella ripresa, a 7 giornate dal termine. E’ il sorpasso decisivo, la Juve del quinquennio nasce al Barbera.
  2. IL VALORE DELLA PANCHINA – «Lo scudetto non è stato ancora assegnato: non sia mai, mancano troppe gare per ipotizzare un finale proponibile, però è chiaro che l’incipit dei campioni induce ad abbozzare ipotesi di un certo tipo». La riflessione di Vittorio Oreggia riguarda il verdetto proposto all’ottava giornata del campionato 2012-13. Il secondo anno di Conte vede il Napoli come più agguerrita avversaria. Quando le due squadre si sfidano sono in testa a pari punti. Mazzarri è costretto alla resa da un uno-due scagliato nel finale da due giocatori che non facevano parte dell’undici titolare: Martin Caceres e Paul Pogba. Tre campionati dopo, Juventus-Napoli arriva molto più tardi, nel girone di ritorno, ma il copione e il significato non cambia. L’1-0 arriva in zona Cesarini e a segnare la rete che vale il sorpasso e poi il tricolore è un altro panchinaro: Simone Zaza. Più che una coincidenza, è una spiegazione non banale dell’egemonia bianconera di questo periodo.
  3. NOVEMBRE, QUANDO LA ROMA MOLLA – I due anni di Garcia vedono la Juve andarsene via che è inverno. Eppure la capolista prometteva bene e forse sono i troppi elogi che l’hanno condizionata. Succede sempre così alla Roma guidata da Garcia, tanto nell’ultimo anno di Conte che in quello di debutto di Allegri. A cambiare è solo l’inversione delle gare, la famosa non contemporaneità. Nel 2013-14 la Juve vince a Livorno con gol della premiata ditta Llorente-Tevez. Chiamata a rispondere, la Roma non va oltre lo 0-0 casalingo contro il Cagliari e dimostra apertamente che lo splendore dello 10 vittorie consecutive d’inizio torneo si è alquanto opacizzato. Morale della favola: la Juve scatta alla tredicesima giornata e non la si vede più. Va ancora meglio la stagione dopo: è il primo giorno del mese quando i bianconeri festeggiano la data della loro fondazione con un altro 0-2 in terra di Toscana, stavolta a Empoli. I risolutori sono Pirlo e Morata. La sera prima, i capitolini hanno perso 2-0 al San Paolo di Napoli, consegnandosi alla possibilità di vedersi scavalcati. A fine campionato il divario dalla squadra campione d’Italia sarà abissale, 17 punti, 12 dei quali maturati in un girone di ritorno alquanto zoppicante.
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