2016

Juventus-Napoli, una questione di identità e forma

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La vigilia della sfida Juventus-Napoli

Quando si arriva agli incontri di vertice, c’è la tentazione di leggere la vigilia attraverso due distinte dimensioni: la definizione dell’identità raggiunta dalla squadra nel suo lungo processo di costruzione e la verifica delle condizioni di forma. Poi, spesso accade che il copione della partita venga stravolto dal reciproco contaminarsi, una sfida come Juventus-Napoli (e sarà altrettanto quando si affronterà la Roma) non può essere altrimenti, l’equilibrio delle forze in campo è tale che non fai ovviamente tutto quel che hai pensato, anzi, il più bravo e chi vince è chi riesce a estrarre dai propri limiti le massime virtù. Come dimostrarono i bianconeri proprio nell’ultimo confronto diretto, quando Simone Zaza riuscì con un’invenzione a tradurre la maggiore determinazione dei bianconeri, che non erano riusciti a esprimersi compiutamente nell’arco dei 90 minuti. Perciò, non ci sarebbe da stupirsi se anche sabato sera, in una gara che conta molto di meno rispetto a quella dello scorso campionato, l’andamento non ubbidirà alle premesse logiche e si verificheranno sorprese rispetto a ciò che in questo momento esprimono il gioco e il presente delle due squadre.

Identità e forma, dicevamo. La Juventus arriva con alcune certezze e meno incognite di quel che la critica racconta, a mio avviso. Anche perché in un campionato così lungo, sarebbe un errore comunque considerare per vinto anche qualora riuscisse a esprimere la forza e la qualità che le richiedono un po’ tutti. Che poi non è altro che diventare una squadra più spettacolare e produttiva dal punto di vista offensivo, visto l’acquisto di un bomber come Higuain e la generale speranza che il calcio italiano nel suo complesso – e di conseguenza il suo club più rappresentativo – riesca a regalarsi una mentalità maggiormente offensiva. Dimenticandosi che non si cambia dall’oggi al domani – ammesso che si lavori soprattutto in questa direzione – un gruppo che ha nella solidità difensiva il suo principale motivo di continuità e di trasmissione della mentalità vincente. Quando finirà, prima o poi, il ciclo di questa Juventus parleremo della BBBC così come ancora oggi si ricorda la leggendaria squadra del Quinquennio degli anni ’30 con la filastrocca Combi, Rosetta, Caligaris. Su tutto il resto ci sono stati interventi, modifiche, gente che è arrivata ed altra che se n’è andata. Dimenticarsi che lì c’è la fonte di supremazia della Juventus è un errore francamente talmente macroscopico da far pensare che talvolta si ami descrivere la realtà che si vorrebbe, invece di quella davvero esistente, al di là dei gusti personali relativi a moduli, interpreti, modalità di gioco.

La Juventus di oggi – quella che abbiamo visto con la Sampdoria – ha certamente margini enormi di crescita. Purché le si riconosca, però, la capacità di essere fortissima con i più deboli, come testimoniano i nove minuti impiegati per l’uno-due di mercoledì sera, in perfetta coerenza con quanto avvenuto nello stadio di casa con Sassuolo e Cagliari. Continuo a pensare che gli scudetti si vincano materialmente contro le piccole e psicologicamente negli scontri diretti. Oggi più che mai – e vale un po’ ovunque, dove c’è una concorrenza ad alti livelli – i passaggi realmente dolorosi non sono le sconfitte come quelle di San Siro, ma gli eventuali passi falsi contro chi bisogna necessariamente battere. In tal senso ecco la situazione maggiormente tranquilla che la Juve vive rispetto al Napoli, che è già caduto in errori consecutivi dopo l’1-3 con la Roma, tanto in Italia che in Champions League, laddove la squadra di Allegri ha sempre risposto con prestazioni più che convincenti ai passaggi a vuoto negli scontri diretti.

Ma c’è un elemento ancor più importante, anche se questo non significa che la Juventus possa sentirsi al riparo di problemi nel big match dell’undicesima giornata: la gestione delle difficoltà è nel dna di questa squadra dopo l’incredibile situazione vissuta l’anno scorso, quando il funerale annunciato si è trasformato in un riscatto impossibile da credere. E i pilastri sui quali poggia questa capacità li si è visti e apprezzati in una certa misura anche mercoledì, quando la Juve ha saputo ridisegnare il suo 3-5-2 addirittura con Dani Alves sorprendentemente indietro e il doppio centravanti ha rivitalizzato Mandzukic. Dimostrando che le grandi squadre non di situazioni ideali vivono (il mito dell’undici titolare), ma della bravura nel rispondere adeguatamente ai problemi che si creano lungo il cammino

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