2012
Juventus, Conte: ?Champions, ci credo. Futuro e Drogba..?
JUVENTUS CONTE – Arrivato nel momento più buio della storia bianconera, Antonio Conte è riuscito non solo a far rialzare la squadra con la quale ha vinto tutto da giocatore, ma anche a farla nuovamente brillare. Un compito non da poco per un giovane allenatore, che si è ritrovato a dover gestire una grande squadra come la Juventus, a cui ha trasmesso il carattere e la fame che metteva sempre lui in campo. Intervistato da Tuttosport, il tecnico bianconero ha tracciato un bilancio del 2012: «Più che positivo, sotto tutti i punti di vista. Abbiamo conquistato lo scudetto da imbattuti, siamo arrivati a disputare la finale di Coppa Italia, abbiamo vinto la Supercoppa, concludiamo l’anno in testa alla classifica, negli ottavi di Champions League e nei quarti di Coppa Italia… Insomma, più di così. Il primo scudetto da tecnico mi ha regalato una gioia indescrivibile, un trionfo che ha superato in termini di emozioni anche il successo ottenuto in Champions League da giocatore. Calcioscommesse? No, niente e nessuno possono sporcare questa felicità, anche se è stata una vicenda dolorosa che mi ha portato a riflettere e a lavorare su me stesso per costruire qualcosa di positivo. Ora posso tranquillamente affermare di essere più forte. C’è qualcosa che non va nel sistema. Vedere cosa accade al Napoli mi dispiace, non lo trovo giusto. Come sostiene il presidente Agnelli c’è bisogno di una riforma della giustizia sportiva. Io ai giocatori del Napoli darei una medaglia: da quanto si legge, loro ascoltano una proposta e la rifiutano categoricamente».
L’allenatore salentino ha poi ripercorso i mesi lontano dalla panchina: «Lo ripeto, questa vicenda ha reso me e la società più forti. Poteva essere un disastro, invece è venuta fuori una compattezza straordinaria e una straordinaria unità di intenti. L’anormalità è diventata ordinaria amministrazione. Anche in questo caso è stato Agnelli a dettare la linea politica a indicare la rotta. Il presidente mi ha fatto sentire più protagonista, più partecipe. Da parte mia, con i giocatori non ho mai accennato a nulla che mi coinvolgesse, le mie grane le ho lasciate fuori dallo spogliatoio».
E sulla Coppa Italia persa e la Supercoppa dei veleni, Conte ha spiegato: «Se non avessimo vinto lo scudetto non sarebbe finita in quel modo. Il Napoli è sceso in campo con più rabbia di noi, anche se… Se l’arbitro avesse fischiato il rigore netto su Marchisio… Supercoppa? E’ stata una partita vinta meritatamente, dominata in maniera netta. Senza discussioni».
Il 2012 è stato caratterizzato soprattutto dal “gol di Muntari”: «Penso anche alla rete annullata a Matri. Allegri? E’ un avversario e se c’è una guerra, lo dico in senso lato, diventa un nemico. La guerra esiste anche a livello mediatico, chi meglio la fa più destabilizza l’avversario. Galliani mafioso? Mai detto, mai detto. Di Galliani ho grande rispetto perché lo considero un ottimo dirigente calcistico, come lo fu Allodi».
Antonio Conte, poi, spiega la scelta di intraprendere la carriera di allenatore, un percorso al quale era “predestinato”: «Perché alleno? Le racconto un aneddoto. Io giocavo nelle giovanili del Lecce ma per divertimento facevo l’allenatore della squadra di mio fratello che frequentava le elementari. Vado oltre? Da giocatore sono stato un buon gregario, però non avrei mai potuto raggiungere le vette di un fuoriclasse, di uno Zidane, di un Baggio, di un Del Piero. Ho raccolto il massimo, cinque scudetti, una Champions League, sono diventato capitano della Juventus. Il top del mio top. Da allenatore no: ho sempre pensato di poter arrivare dove non mi sono neppure avvicinato da calciatore. Io il calcio lo studio dal punto di vista tecnico, tattico, psicologico, fisico, gestionale. Se sono a casa, scelgo un libro che mi aiuti nella mia professione. Adesso sto leggendo Open, l’autobiografia di André Agassi. Anche questo mi agevola per capire come può essere la testa di un campione. Sto pure studiando inglese e devo ammettere che fatico da bestia: però mi serve con gli stranieri per comunicare in maniera corretta, per essere persuasivo sotto il profilo motivazionale. Stratega o psicologo? Un buon allenatore deve essere un po’ tutto e non può essere una cosa sola».
Inevitabile un accenno al futuro, quello però a lungo termine e magari lontano dalla Juventus: «Dopo vedremo… Per me questo è il coronamento di un sogno. Non a caso, quando smisi di giocare dissi: il mio è un arrivederci, non un addio, perché sulla panchina della Juventus tornerò da allenatore. Mi auguro che sia un percorso lungo… Dopo sarà all’estero. La Nazionale mi piacerebbe, però è uno step successivo».
Altrettanto impossibile evitare di parlare del mercato di gennaio: «Non so come sia uscito il nome di Drogba. A me nessuno ne ha parlato né tantomeno io l’ho chiesto. Detto questo, si tratta di un fuoriclasse che ha alzato la Champions League ci farebbe comodo. Sappiamo cosa ci serve e sappiamo dove intervenire. Sappiamo anche che 50 milioni non li abbiamo da spendere. Ma con la progettualità arriveremo a comprare campioni da 35-40 milioni. Una frase per convincere Agnelli a prendere Drogba? Non una frase ma una serie di argomentazioni. Beh…. fino adesso è stato contento, potrebbe essere ancora più contento».
Naturale, poi, parlare di Champions League: «Celtic? Da azzannare con la medesima forza del Barcellona o del Real. La presunzione ci ammazzerebbe, dobbiamo volare bassi e stare concentrati. A parte tutto, non possiamo non credere di andare avanti. Sarebbe un delitto. Siamo lì, lotteremo… Io il sogno lo coltivo».
«Pirlo è da Pallone d’Oro. Anche se è difficile non assegnarlo a Messi che ha segnato oltre novanta gol», ha spiegato Conte, che poi ha concluso parlando di Del Piero: «La gestione di Alessandro non era facile e io me ne sono accorto. Sono stato aiutato dal fatto che i tifosi rispettavano lui e me in eguale misura. E’ stato il mio secondo scudetto. E lo ringrazio: quando la palla scottava, Del Piero c’è sempre stato. Chi è il nuovo Del Piero? Lo zoccolo duro che si è creato, come ai tempi di Lippi. I Padoin, i Caceres, i Giaccherini, i Marrone non li cambio con nessuno, gente che sta fuori e non protesta, gioca e dà il massimo».