2016

La Juventus e la bambola di Marassi

Pubblicato

su

Cosa c’è dentro la sconfitta dei bianconeri contro il Genoa

A furia di fare discorsi sul bel gioco, è arrivata la bambola. Con un po’ di sana autoironia – che non guasta nell’isterico mondo social, sempre più inquinato da persone che pensano di essere originali urlando i toni – bisogna accettare serenamente il verdetto di Marassi, con la piena consapevolezza di quanto sia stato meritato anche nelle proporzioni, anche se non sono mancate le opportunità per riaprire la partita molto prima della punizione di Pjanic. Spiegare il rovescio di Genova come un evento logico, consequenziale o addirittura scontato data la precedente sequenza di prestazioni “brutte” è quanto di più sbagliato ci sia. E non per minimizzare l’accaduto, facendolo rientrare negli eventi rari o irripetibili, in quei blackout che capitano una volta ogni tre anni e che sono fragorosi proprio per la loro portata. Semmai, è il contrario. Credo che ad un’attenta analisi della partita – e di quelle giocate prima, a mio avviso tutt’altro che catastrofiche – si possa vedere nel terzo stop in campionato qualcosa di nuovo, di totalmente imprevedibile e – perciò – meritevole di una riflessione un po’ meno superficiale di quella che vorrebbe descrivere la Juve di Allegri come una squadra che vive solo sulle mancanze altrui o che – peggio – sta facendo una stagione negativa, che una descrizione francamente grottesca per un gruppo che sta conducendo in testa il torneo con un rassicurante margine di vantaggio e che si è qualificata con un turno d’anticipo agli ottavi di Champions League: due posizioni invidiabili e invidiate da tutto il resto dell’Europa che conta, nonostante ieri pomeriggio nessun club può fregiarsi di altrettanta combinazione dei due fronti.

Quel che il 3-1 di Genova rappresenta a mio avviso è un insieme di messaggi che non vanno trascurati. E provo a sintetizzarli velocemente ancorandoli a un’immagine.
La prima risale a pochi secondi antecedenti l’1-0. Una chiusura di Bonucci da fuoriclasse assoluto, con un’eleganza che nessuno può permettersi in Europa se lavora nelle retrovie. Il fatto che poco dopo sia lui a originare il vantaggio rossoblu con un colpo di tacco inopportuno rivela un pericolo che probabilmente il +7 in classifica conteneva: la presunzione di potersi permettere licenze. Che non è grave in sé, ma lo diventa nell’immediata lettura della gara perché era evidentissima la carica degli avversari, che apparivano fuori dalle righe dalle primissime azioni, in una sorta di esaltazione adrenalinica che ha prodotto conseguenze rilevanti.

La seconda è il gol del 3-0, la cui dinamica è persino difficile da decifrare. Se non in un’evidenza manifesta: ognuno si fida del compagno e manca di totale reattività. Quella è di fatto la pietra tombale del match, al di là dei successivi sussulti. E denuncia la fine provvisoria – perdonate la voluta antinomia – delle certezze difensive. Troppi gol evitabili sono già stati incassati quest’anno, soprattutto da palla inattiva. Un calo di attenzione che già era costato parecchio nella prima parte della scorsa stagione, anche se si cercavano analisi più elaborate delle difficoltà di quella Juventus.

La terza immagine si accompagna alla considerazione più preoccupante, sempre restando nel limite di un difetto correggibile: attorno al ventesimo della ripresa, Hernanes prende palla e va a una conclusione velleitaria perché non ha sbocchi in verticale. Ovviamente, senza il dinamismo e il genio di Dybala non si può stare a lungo, ma certo la Juve deve trovare una capacità d’’azione e d’incidenza nell’asse centrale. E il sospetto che in un centrocampo tecnico manchi qualcuno decisamente fisico, da spendere quantomeno in certe fasi della gara o in particolari match, si accompagna alla quarta immagine, il pesante infortunio subito da Dani Alves in una partita che ha visto i bianconeri soccombere totalmente sul piano agonistico. 25 falli contro 8 non traducono solo la pessima giornata di Mazzoleni. Certificano anche una mancanza d’interpretazione della partita che si deve tradurre prontamente in una capacità di rispondere corpo a corpo alle sollecitazioni altrui. Solo per l’appunto in Dani Alves, viste le non decisioni dell’arbitro su interventi da giallo mai sanzionati, si è visto un giocatore in grado di alzare l’asticella con qualche intervento altrettanto intimidatorio e coerente con quelli degli avversari. Significa improntare una strategia, capire qual è la temperatura della gara e non farsi travolgere, anzi, cercare di indirizzarla. Non è un dettaglio, è una questione molto seria, un modo per essere squadra soprattutto quando le partite nascono male. La sconfitta si può accettare, certo. Uscire battuti e picchiati no, fa decisamente più male.

Exit mobile version