2012

Juventus, Agnelli: “Siamo rinati e vogliamo vincere”

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JUVENTUS AGNELLI – Di bilanci se ne intende, visto che tiene d’occhio quello della Juventus con particolare attenzione, ma Andrea Agnelli può tracciarne uno altrettanto positivo non solo a livello economico, perché può coccolarsi la sua squadra, rinata sotto la sua guida. «Il campionato è deciso quando lo dice la matematica. Mancano 20 partite e non abbiamo ucciso un bel niente. Non c’è singolo che possa fare la differenza da solo. Questo è un lavoro di gruppo. Fare squadra a tutti i livelli, questo è il nostro credo. Far  squadra ti consente di far sembrare normale una cosa assolutamente non normale, come quella di giocare quattro mesi senza allenatore. Certo, uno dei nomi è indubbiamente quello di Conte. Ma anche lui non sarebbe stato così importante senza la squadra», ha dichiarato il presidente della Juventus a La Gazzetta dello Sport, dove ha parlato anche della gara di Champions con il Celtic: «La Juventus ambisce a vincere sempre. La cosa più importante oggi è ripetersi in Italia. La Champions ci permette di sognare, e ci piace sognare. Ce la possiamo giocare con tutti, fino in fondo».

«Drogba? Preferisco parlare degli uomini che abbiamo. La Juve ha il miglior attacco e la miglior difesa. E uno staff che se ci saranno da cogliere delle opportunità, non se le farà sfuggire. Gennaio è inflazionato da opportunità solo relative. Le spese importanti si fanno d’estate. Valuteremo il da farsi», ha aggiunto il patron del club torinese, che poi ha parlato del gap con le grandi europee: «Ci vuole la giusta gradualità. Questa è una società il cui fatturato è oggi di 215 milioni di euro e l’anno prossimo faremo il nuovo record. Ma occorre raggiungere un fatturato stabile di almeno 300-350 milioni di euro per mettersi al passo. Barca, Real e Manchester United fatturano mediamente 450-500 milioni, il Bayern 350, il Psg è diverso, un’anomalia legata ai suoi investitori arabi. Occorre aumentare le capacità di fuoco della società, ma tutti quanti dobbiamo capire che non sempre il grande investimento è quello che fa fare il salto. I migliori affari dell’attuale Juve sono stati Barzagli, Pirlo e Pogba, che sono costati in tutto 300mila euro».

Lunga disamina poi di Agnelli sulla necessità di rinnovamento del calcio italiano: «Quando sono arrivato alla Juve, due anni e mezzo fa, ho trovato una società sostanzialmente apatica, che accettava i risultati che arrivavano e, stadio a parte, non pensava al rinnovamento. Già si diceva che sarebbe stato necessario “cambiare il mondo”, sì, ma prima dovevamo cambiare noi. E’ da lì che siamo partiti e per ritenerci “arrivati” abbiamo ancora da realizzare due cose: la cittadella Juve di Continassa, un’operazione di 340 milioni di euro tra investimenti diretti e indiretti; e l’allineamento del valore della maglia ai livelli dei competitor europei. Finito il percorso interno alla Juve, dobbiamo pensare alla crescita del calcio in Italia. E lì bisogna intervenire su tutto. Trovare in Lega una guida strategica e un piano, sapendo che ci vorranno tra i 5 e gli 8 anni per riportare il calcio italiano ai vertici di quello europeo. Il nostro stadio mi rende felice e orgoglioso, ma da solo non serve, ne occorrono almeno altri dieci. La sicurezza: a Londra, freddo cane, esco da Stamford Bridge con la giacca della società sulle spalle, qualche giorno dopo ero a Firenze e uscire con mia moglie a braccetto dallo stadio era semplicemente impensabile. I marchi: il Censis dice che il giro d’affari dei marchi contraffatti in Italia, non solo sport, è di 8 miliardi di euro, e non succede niente. Legge Melandri: le linee guida sono corrette, sarà la Spagna prima o poi a doversi allineare. Noi nel passaggio al diritti collettivi ci abbiamo rimesso 30-35 milioni di euro. Tutto o.k. mai paletti sono troppi e troppo penalizzanti, e con le delibere della Lega che finiscono 15 a 5 con le grandi all’angolo ci rimettiamo sempre. Per non parlare dei diritti tv internazionali, dove il gap con gli inglesi è di uno a dieci. E la legge 91, che ancora tiene insieme l’iperprofessionismo e quello di base. I campionati: scenderemo tra due stagioni a 102 squadre professionistiche, beh, sono ancora troppe. Va ipotizzato un documento comune: una sorta di testo unico dello sport, in cui Coni, Federazioni e Leghe continuino ad avere le loro funzioni, ma all’interno del quale va riscritto praticamente tutto».

«Va riconosciuta la validità della candidatura di Abodi. Trasversale, perché è stato appoggiato da club grandi e piccoli insieme. Un patrimonio di consensi che non deve essere disperso. La Lega oggi fattura un miliardo, deve arrivare a due in cinque anni. Credo che la candidatura di Abodi resti valida, va portata avanti continuando il dialogo con i club che non lo hanno votato. Arrivati a questo punto io mi aspetterei da Beretta che fosse lui a fare un passo indietro. Restare lì, approfittando dello sfinimento delle parti, non rappresenta il bene della Lega», ha spiegato il presidente bianconero sulla presidenza della Lega di Serie A, poi su Calciopoli: «Mi sembra che di sentenza in sentenza paradossalmente Giraudo e Moggi siano rimasti i soli colpevoli. I mille che c’erano prima non ci sono più. Io credo che la Federazione abbia avuto tutti gli strumenti per decidere sulla questione Inter. Decidendo di non decidere è andata incontro a questa situazione».

Capitolo Scommessopoli e riforma della giustizia sportiva: «Tema delicato. Molte cose non funzionano: il principio dell’omessa denuncia, strumento come minimo discutibile, che per giunta rappresenta un limite alle indagini dei p.m. per le ricadute che ci sono sulla giustizia sportiva. Un tesserato non parla perché sa che questo gli costerà la squalifica, è ovvio. E poi la responsabilità oggettiva: paghiamo per il comportamento di certi tifosi e questo è già sbagliato. Ma soprattutto paghiamo o rischiamo di farlo per il comportamento dei tesserati, addirittura per quelli che il presunto reato sportivo lo hanno commesso in un’altra società. E dai giocatori “infedeli” come ci difendiamo? Pedinandoli? Non mi pare il caso».

«La Nazionale che va in finale all’Europeo non vuol dire che il calcio sta bene e la federazione funziona. Se gareggiamo per ottenere gli Europei e veniamo bocciati, quello è un fallimento. Se gli stadi continuano a non esserci, quello è un fallimento. E chi è deputato a questo cose? Moratti, Galliani, Agnelli, o chi governa il calcio? Chi non ha operato, le società o le istituzioni? E’ tutto il sistema che purtroppo in questo momento non riesce a rinnovarsi. Poltrona nel Consiglio federale? No. Oggi la cosa importante, fondamentale, è la guida della Lega. Il resto non mi interessa, con l’eccezione del posto che occupo nell’Eca, l’organismo europeo dei club. I soldi veri escono da lì, da una Champions che vale 1,2 miliardi l’anno. Campionato d’Europa per club? Commercialmente sarebbe la conclusione più logica ma le tradizioni non lo consentiranno mai», ha chiosato Agnelli, che poi ha, inevitabilmente concluso con una battuta sulla bandiera bianconera, Del Piero: «Ha alzato la coppa dello scudetto nel suo stadio, il miglior sceneggiatore non poteva studiare un’ultima volta più bella di questa».

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