2016
La Juve di Allegri nacque in una terza giornata
Due anni fa, il battesimo a San Siro contro il Milan di Inzaghi
La Juve di Massimiliano Allegri nacque in una terza giornata. Quella di Antonio Conte ha come origine la sua prima gara allo Juventus Stadium contro il Parma, quel 4-1 coerente per entusiasmo prodotto e bellezza delle giocate con la meravigliosa scoperta del teatro che lo ospitava. Invece, il suo successore, dimostrò di che pasta fosse fatto e cosa avrebbe potuto rappresentare la sua gestione nella gara che faceva seguito a un inizio di campionato che – proprio come oggi – vedeva la Juventus in testa a punteggio pieno dopo 2 giornate. Ricorderete bene come e quanto si raccontasse in quei giorni del 2014 di come in fondo l’avvicendamento clamorosamente verificatosi durante una tormentata estate non avesse prodotto significative trasformazioni nel modo di giocare della squadra bianconera. 3-5-2 con Conte, identico modulo con Allegri, che riceveva pure qualche accusa di conservatorismo, non solo nelle scelte tattiche ma anche nell’utilizzo degli uomini. La tentazione di dipingerlo come un imitatore era troppo ovvia per non coglierla al volo, non guardando neanche a quella dimostrazione di forte coraggio che aveva contrassegnato la gara d’esordio a Verona contro il Chievo, con un ragazzino come Coman mandato in campo e con la sua più che positiva risposta (mi sono sempre chiesto quanto avrebbero dato dell’avventuriero e del superficiale ad Allegri in caso di prova insufficiente).
Ma al terzo appuntamento, nessun dubbio. Se non era la prova della verità poco ci mancava. Già solo perché lo snodo era simbolico: il Conte Max contro il suo passato, rappresentato dal Milan di Inzaghi. Il quale, peraltro, era partito a mille all’ora e si presentava a San Siro lui sì come se fosse realmente un esame di laurea, esattamente quello che Antonio Conte aveva avuto contro il Milan di Allegri nel 2011-12: 2-0 con doppietta di Marchisio, Ibrahimovic annullato quasi totalmente, la sensazione che con quell’atteggiamento iper-aggressivo l’idea di scucire lo scudetto dalle casacche rossonere non fosse un’ipotesi irrealistica, purché durasse nel tempo un atteggiamento così battagliero che puoi avere in corpo solo se arrivi da due settimi posti e dalla bruciante sensazione di essere una nobile decaduta. In termini più chiari: se il Milan di Superpippo fa l’impresa e conferma di essere la macchina da gol delle prime 2 giornate (8 reti in 180 minuti, tralasciando il particolare che ne ha incassati 5…), allora tutto è possibile. Anche che finalmente si trovi l’Arrigo Sacchi 2.0, alimentando cioè quel mito del giovane tecnico che fa subito bene alla prima esperienza con una grande, anzi, con la “sua” grande, dove da attaccante ha fatto di tutto e di più.
Non credo che mister Allegri concordi con la mia suggestione. Ne conosco bene il grado di meticolosità nel costruire la squadra giorno per giorno e quel lieve tasso d’incontentabilità che lo accompagna, convinto com’è che non esista la gara perfetta e – soprattutto – i processi di costruzione nel calcio non sono mai percorsi troppo lineari, non è detto che il raggiungimento di uno stadio non eviti cadute. Neanche la striscia incredibile di vittorie da quella punizione di Sansone in poi ha mai prodotto affermazioni che non fossero il rigoroso rispetto di ogni passaggio, non c’è mai una comunicazione diversa in lui. E non ci fu neanche in quella vittoria a San Siro che regalò alla Juve il primato in classifica in coabitazione momentanea con la Roma e sgonfiò immediatamente le velleità del Milan di Inzaghi, che dopo quella lezione di calcio andò incontro a due pareggi in provincia (Empoli e Cesena) e perse un bel po’ di quella sana incoscienza che hai nei primi passi di una nuova avventura.
Sì, lezione, a dispetto del solo gol che determinò il successo e della circostanza che Tevez lo andasse a firmare a 20 minuti dal termine. In quella serata, si percepì la disfatta delle Cassandre che volevano il crollo juventino con l’addio di Antonio Conte (molte delle quali, si badi bene, tifosissime bianconere ma inclini al catastrofismo a priori che fa tanti contatti sui social ed è materia vicina allo zero in quanto a competenza). Ed emersero in maniera abbastanza evidente tratti che non diventeranno mai un “ismo”, non si scriverà mai di Allegrismo per sistematizzare la sua idea di calcio, ma che ancora oggi sono distintivi di una Juve molto modificata negli uomini, non però in ciò che chiede l’allenatore: un pressing fondato sull’organizzazione invece che sull’aggressività; una lettura delle situazioni variabile, a seconda del momento della gara, in modo da colpire nel tempo più opportuno perché costituisca il colpo del ko; la capacità di risultare efficienti anche quando non si è perfetti (esattamente ciò che andrà in crisi all’inizio della scorsa stagione); un principio di sostenibilità fisica, per il quale puntualmente la Juve arriva a fine partita con più fiato in corpo degli avversari; e, infine e cosa più importante, la convinzione della propria forza (vera eredità del triennio Contiano), ancor più alimentata in gara cercando di praticare un calcio tecnico, pensante, efficace, non necessariamente bellissimo da vedersi ma certamente mai incoerente rispetto al rapporto tra sforzi fatti e risultati ottenuti. Personalmente mi aspetto che tutto questo trovi ancor più lucidità con Pjanic regista alla terza giornata del campionato 2016-16.