2015
Biondo era e bello e di gentile aspetto
Un campione triste, una bandiera strappata: Julen Guerrero e l’Athletic Bilbao
A incontrarlo oggi, alla Academia del Malaga, Julen mantiene la solita espressione nobile di quando giocava centinaia di chilometri più a nord. Adesso non vede più l’Oceano in lontananza, ma quella parte di Mediterraneo che si restringe prima di perdersi dopo Gibilterra, Tarifa e il Marocco. È rimasto magro perché è un professionista, in realtà sembra anche troppo magro, magro in maniera triste come un po’ triste è l’aura che lo circonda e lo ha sempre circondato. Scende in campo con i bambini del Malaga e insegna loro come muoversi, come bisogna giocare a calcio, quali sono le basi. Fa quasi effetto vederlo con quei colori addosso, dopo che per una vita intera ha portato solo il bianco e il rosso di una squadra che ha amato in maniera folle, addirittura sconsiderata. Il tempo è passato ma Julen, alla poco più di quarant’anni, ha ancora quella chioma bionda, solo un tantinello più scura. Le prime rughe si sono formate sul suo volto e gli zigomi sono più scavati, rispetto a quando giocò la sua prima partita nella Liga e fece innamorare tutto il mondo calcistico è invecchiato, ma lo sguardo gentile – gentile in senso ampio, uno sguardo generoso ma fiero, delicato ma nobile – è sempre lo stesso. Quegli occhi hanno visto cose che non si possono e nemmeno si devono immaginare, sono entrati in spogliatoi ipocriti, hanno scorto angoli improbabili nelle porte avversarie, sono riusciti a individuare spazi dove infilarsi o infilare il pallone. Ma soprattutto hanno pianto lacrime amare un giorno di luglio del 2006, attorniato da molti che pensava fossero compagni, da gente che doveva condividere un ideale prima ancora che uno spirito di squadra. E invece niente, quegli occhi quel giorno piangevano bagnando un’anonima maglia grigia, e i tifosi dell’Athletic Club piangevano con lui, consapevoli di aver perso un idolo ma ancora incapaci di capire il perché. E ancora oggi, a distanza di anni, al caldo umido di Malaga, Julen Guerrero fa quel suo sorriso triste e cerca di lasciare questa storia alle spalle, tornando da solo dentro gli spogliatoi.
INIZIO – Nel settembre 1992 Julen Guerrero potrebbe tranquillamente fare l’attore di soap opera da quanto è bello. Ha poco più di diciotto anni quando, invece di conquistare una graziosa donzella bilbaina, entra nelle grazie di un tedesco che di mestiere allena la prima squadra dell’Athletic Bilbao, Jupp Heynckes. L’Athletic viene da dieci anni di nulla, l’era Clemente è finita da un pezzo e bisogna tornare a essere grandi perché – ormai è noto e arcinoto – l’Athletic non è solamente una squadra di calcio, è un sentimento. Guerrero è un giovane centrocampista offensivo, un trequartista che nel calcio di quegli anni pare arrivare al posto giusto al momento giusto. È nato a Portugalete nel gennaio 1974 e ha sempre vissuto in Vizcaya, in pratica a Lezama è di casa perché c’è entrato nel 1982 e non è più uscito, facendosi la trafila nelle giovanili mentre in prima squadra passavano campioni rigorosamente baschi come lui, che poi i baschi nemmeno sembrano spagnoli da quanto sono diversi come fisico e mentalità, sono quasi olandesi ma il paragone non renderebbe l’idea. Guerrero gioca nella squadra riserve ma è effettivamente troppo forte, anche se è maggiorenne da poco, e quindi un estasiato Heynckes decide di promuoverlo tra i grandi. La squadra è forte e piena di giovani interessanti come Larrazabal, prodotti del vivaio alla Garitano e anche innesti di qualità come Cuco Ziganda e Ernesto Valverde, ma Guerrero è ben diverso da tutti questi. Lui è nato praticamente nel Bilbao e sente la maglia, poi ha una classe innata e sembra più un conte che un calciatore. Occhio però, non è uno di quei giocatori fini a se stessi, proprio no: Heynckes lo manda in campo nel settembre del 1992 e lo toglierà solo una volta in tutta la stagione, nella quale i baschi chiudono ottavi e Guerrero ingolosisce il mondo del futbol con dieci gol nella stagione d’esordio.
ESPLOSIONE – Guerrero ha dei piedi favolosi, riesce a mandare in porta i compagni con tocchi d’alta scuola ma soprattutto ha un cervello sprecato per un calciatore. Danza in mezzo agli avversari e nelle sue prime stagioni con i grandi dell’Athletic sembra il più veterano di tutti e sempre con il fido Heynckes nel 1993-94 trova l’annata della vita mettendo a segno diciotto gol in trentasei presenze di Liga, a soli diciannove anni. Ha già esordito anche in nazionale perché un talento del genere non si può assolutamente perdere: sembra che Guerrero sia venuto dal nulla, sia stato creato a immagine e somiglianza della perfezione e poi ama tremendamente la squadra per cui gioca, il biancorosso è un colore che ha tatuato sul cuore e anche per temperamento è tra i migliori in ogni circostanza. E poi sa giocare a calcio, e lo fa particolarmente bene come hanno avuto modo di capire in quel di Santander. Contro il Racing fa esplodere lo stadio segnando dopo una serpentina pazzesca tra i difensori cantabri e qualche settimana dopo si ripete nella storica vittoria per 2-3 dell’Athletic a Barcellona contro il Barca. Il tre a uno è opera sua, e ricorda per intuito la finta di Pelè a Mazurkiewicz nel 1970: Guerrero riceve palla in contropiede da Valverde, è in corsa con Zubizarreta in uscita, finta velocemente il tiro e elude l’intervento per portiere per poi depositare in rete un gol geniale. Guerrero è un idolo al San Mames, la Catedral ribolle d’amore per quel biondino con la maglia numero otto che gioca già come uno dei grandi. Ziganda e Valverde devono offrirgli come minimo mille cene per tutte le volte in cui lui li fa segnare. Niente può andar male a un giocatore del genere che continua a segnare anche negli anni a venire e che gioca con quella naturalezza tipica dei grandi campioni, un po’ come quello Zidane che a metà anni novanta incanta la Francia. In Spagna c’è Guerrero e si prende tutte le platee possibili portando i baschi più in alto possibile, fino a un insperato secondo posto nell’anno del centenario. A ventisei anni Guerrero è lo spagnolo più forte, uno dei pochi giocatori al mondo a saper giocare di destro e di sinistro indifferentemente, bravo a coprire e eccezionale a offendere. E poi è bello, ha l’aspetto del figlio che ogni mamma vorrebbe ed è meravigliosamente tifoso dell’Athletic. No, niente può andar male.
FINE – Julen Guerrero rimane all’Athletic Bilbao nonostante il Real Madrid lo voglia con insistenza. Si dice che lui stesso voglia partire verso le merengues ma poi firma un contratto addirittura fino al 2007 con l’Athletic. El Rey Leon, come lo chiamano i tifosi, aveva suscitato l’interesse anche di Milan e Barcellona, ma non c’è niente da fare perché casa sua si chiama San Mames. Tutto va per il verso giusto fino a quando non arriva una nuova infornata di giocatori al Bilbao, la cosiddetta fazione navarra, o clan navarro come lo chiamano i giocatori spagnoli. La Navarra è una regione a parte ma rientra comunque nelle sette province di Euskal Herria e da sempre è un bacino molto utilizzato dall’Athletic. I navarri sono gente particolare, sono di per sé indipendentisti perché ovviamente si sentono baschi, ma a maggior ragione hanno un forte legame di appartenenza alla propria terra. C’è differenza tra chi viene dalla Navarra e chi invece cresce in Vizcaya, una differenza forte a livello caratteriale, come se i navarri fossero più chiusi e ostili. Guerrero è diventato popolarissimo sia a Bilbao dove è l’idolo incontrastato della sua gente, sia in tutta la Sapgna perché in effetti è un talento puro. Sul finire dei Novanta segna meno ma è normale, ha una collocazione tattica leggermente diversa e pensa più a far segnare i compagni, nonostante sia un centrocampista e stia per arrivare a cento gol nella Liga. Da un po’ di tempo a questa parte tra l’altro la splendida maglia biancorossa dell’Athletic almeno per Guerrero ha avuto una piccola aggiunta sul braccio sinistro, la fascia da capitano. È un leader silenzioso il buon Julen, che dà sempre l’idea di essere concentrato in qualsiasi cosa faccia, e che voglia sempre il meglio. Eppure quegli occhi un tempo così ammalianti cominciano a diventare sempre più malinconici, specialmente quando agli albori del nuovo millennio il franco-spagnolo Luis Fernandez decide di metterlo in panchina e non inserirlo più nell’undici titolare. A ventisei anni per Guerrero la decisione del mister è una bella botta e comincia a sentirsi solo. I tifosi non capiscono perché e anni dopo, quando ormai sarà troppo tardi, usciranno voci che si avvicineranno molto alla verità.
VOCI – ¿Qué le pasa a Julen? La moglie è malata, ha il cancro, si dicono i tifosi dell’Athletic Bilbao. E allora si capisce perché il Re Leone e la sua bionda criniera siedano tristi e composti sulle panchine della Catedral, mentre l’ondata di nuovi navarri sgambetta in campo e lo fa pure discretamente. Aranzubia, Yeste, Orbaiz, Urzaiz, Iraola, tutti giocatori nuovi e interessanti ma che sotto sotto non sembrano andare d’accordissimo con Julen. La realtà è ben diversa perché la moglie di Guerrero non è malata come si dice in giro, o almeno non è quello il motivo delle sue continue panchine, delle sue improvvise assenze dal campo che gli fanno perdere completamente la forma nel momento in cui la sua stella avrebbe dovuto brillare sui cieli d’Europa. Si dice, e in molti pensano sia vero, che il clan navarro non veda di buon occhio Guerrero. Il clan navarro, di recente formazione, è quello che comanda all’interno dello spogliatoio e se i vari Gurpegi o Ezquerro mettono il veto su Guerrero allora Guerrero non gioca. Ma perché? Semplice, per codardia. Sia dei compagni che degli allenatori che si susseguono a Bilbao, su tutti Luis Fernandez che teme di perdere le fiducia della squadra e quindi non fa troppi complimenti quando deve escludere il biondo di Portugalete. Inizia così un calvario fatto di solitudini e silenzi, di partite viste da bordocampo e di tifosi che si chiedono cosa abbia fatto Julen Guerrero. E, come sempre, iniziano le voci e le falsità come quelle sulla moglie per esempio. Il talento che aveva fatto innamorare Jorge Valdano e che aveva mandato in fibrillazione gli emissari del Milan adesso è già rottamato, colpevole di esser stato troppo in vista e troppo amato. Segnerà poco dal 2000 al 2006, ma farà in tempo a mettere lo zampino in una delle rimonte più da Athletic possibili. Un sabato notte del 2005 arrivano al San Mames altri navarri, quelli dell’Osasuna e nel primo tempo sono già avanti tre a zero. Ernesto Valverde non gioca più, adesso allena il Bilbao e decide di mettere in campo quel Guerrero che ormai in panchina è abituato a rimanere. La partita scorre lenta fino a un quarto d’ora dalla fine quando un giovane alto e biondo di nome Llorente assiste Yeste per il gol della bandiera. La Catederal si rianima e Guerrero con lei. Julen fa un balzo indietro di quasi quindi anni e torna il campione che è sempre stato, si guadagna il fallo da cui Yeste fa 2-3 all’81’ e due minuti dopo entra nella mischia da cui nasce il 3-3 di Tiko. Per segnare il suo ultimo gol nella Liga aspetta l’89’ quando su assist di Iraola colpisce sporco al volo alle spalle del portiere e urla, braccia al cielo, andando sotto la curva. Lo abbracciano tutti.
LACRIME – L’ultima istantanea di Guerrero però non è il gol all’Osasuna, sarebbe troppo bello: è la sua decisione di lasciare il calcio a trentadue anni, stracciando un contratto milionario che avrebbe avuto una scadenza più lunga e andando a allenare le giovanili a Lezama, lo stesso campo dove era cresciuto e dove lo avevano visto allenarsi in disparte nei Duemila, pur non perdendo una goccia del suo immane genio. Dice addio al mondo del pallone un calciatore travolto dalla meschinità dei compagni e dalla codardia di allenatori e presidenti, per ultimo l’infido Fernando Lamikiz, la cui vera personalità si scoprirà solo in sede processuale. Quei compagni, quegli allenatori e quei presidenti che avevano sposato la causa dell’Athletic, il valore dell’Athletic, e che erano in realtà troppo distanti dall’essere realmente Lehoiak, leoni. Guerrero è stato schiacciato senza meritarselo, finendo in lacrime – lacrime vere, lacrime sofferte – una carriera nella quale non ha potuto godere neppure di una partita di addio, ma di un semplice pasillo de honor nel derby con la Real Sociedad. Guerrero è stato un fenomeno, ma a differenza di molti altri ha espiato colpe non sue, la sua unica colpa era essere biondo e bello e di gentile aspetto, e soprattutto di aver amato troppo l’Athletic Bilbao. Guerrero è stato la cesura tra il vecchio e il nuovo Athletic, tra la purezza e la genuinità di un calcio che un tempo c’era e oggi millantano che esista ancora. E quella maglia numero otto oggi implora una giustizia che non arriverà mai perché il calcio è fatto così, sembra che dia ma toglie solamente. Il tempo però dà e toglie i meriti, e Guerrero rimarrà sempre un mesto splendido fuoriclasse.