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Jarosz (ex ECA): «Super League? Si è rotta la fiducia, e Agnelli…» – ESCLUSIVA

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La nostra intervista esclusiva a Olivier Jarosz, Club football advisor, ex ECA e co-autore del Club Management Guide ECA: l’incredibile parabola della Super League, le possibili sanzioni verso i club e le prospettive di Andrea Agnelli

La Super League era l’unica scappatoia alla crisi post pandemia?
«Non era la migliore soluzione, e lo abbiamo visto. Il Covid ha amplificato alcune problematiche preesistenti. La Super League non è qualcosa di nuovo, già dai tempi di Berlusconi se ne parlava molto, c’era solo da stabilire quando e in quali termini. Alla fine i buoni sono risultati la Uefa, il Psg e il Bayern. Potrebbe essere l’occasione di fare fronte comune su temi importanti come il financial fair play e la sostenibilità del calcio».

Quali conseguenze ci si può aspettare?
«Il rapporto tra le 12 squadre dissidenti e l’Uefa sarà complicato, ci vorranno molti soldi e diversi anni per trovare una soluzione condivisa. Si è rotta la fiducia e ora la priorità è quella di ritrovarla. Ora i club ora hanno bisogno di una rappresentanza forte, tutti. Non solo i big. Anche Udinese e Sassuolo. L’Uefa dovrà fare in modo che i club si sentano a loro agio in un’organizzazione in cui si parla e ci si confronta. I 12 club dovranno entrare nelle discussioni ma sulla base di nuovi termini, fissati dalla collettività delle società e dalla stessa Uefa».

Il futuro di Agnelli? 
«Lo conosco dalla mia esperienza all’ECA, bisogna dargli un po’ di tranquillità. Vero, ha preso delle decisioni di un certo tipo, ma ha provato a fare molte cose, e a rimettersi in gioco. Possono non piacere i suoi metodi e le sue reazioni nell’Assemblea di A, ma è un’opinione soggettiva. Ha provato a riformare, ha capito come pochi che il nostro sistema è debole in questo momento. Giulio Cesare pensava che la corsa delle bighe sarebbe esistita per sempre. Ora invece le bighe sono in un museo. Tendiamo a dare per scontato il calcio, ma non consideriamo le nuove generazioni, Netflix e il Covid. Tutti pensano che col vaccino le cose torneranno come prima. Andrea Agnelli ha cercato di salvare il salvabile, con la Super League».

Ceferin lo ha definito “Giuda” 
«Nessuno ha obbligato Giuda a tradire. Non avrebbe dovuto fare quello che ha fatto, mentre tutto nel nostro sistema attuale ha fatto in modo di andare verso quella direzione».

Al di là della Super League lei crede che il calcio abbia bisogno di riforme urgenti? 
«O metti tutto sotto il tappeto oppure tutto torna a galla. E’ come se fossimo in una casa con una stanza che va a fuoco. C’è la porta chiusa e siamo in corridoio. Scappiamo o proviamo a spegnere l’incendio? Ma dobbiamo soprattutto pensare alle fondamenta della casa, costruita sulla sabbia. Anche se spegniamo la stanza, la base non è solida. Dobbiamo confrontarci con architetti, geometri e muratori per riformare la governance. Ma servono cambiamenti immediati, da domani, per ristrutturare la casa in modo da poterci vivere per i prossimi 20, 50 o 100 anni».

Quali sono i prossimi step più urgenti? 
«Al primo posto riequilibrare i giochi di potere e ritrovare la fiducia. E’ come un uomo che confessa alla moglie di averla tradita senza mezzi termini. E poi quando capisce che è andato troppo oltre chiede scusa e cerca di tornare indietro. Se accetti dovrai convivere con questo in futuro. Puoi farlo, ma devi imporre nuove condizioni, e succederà, nelle prossime due/tre settimane».

Quanto peso hanno avuto le prese di posizione dei tifosi nel tramonto della Super League? 
«Non credo che il declino della Super League sia stato segnato dalle proteste in piazza dei tifosi. Si può leggere come una vittoria del popolo ma temo che a pochi stiano veramente a cuore i tifosi. Credo che il Chelsea non abbia deciso il suo futuro sulla base dei tifosi fuori da Stamford Bridge. E’ una decisione commerciale entrare in Super League, ed è una decisione altrettanto commerciale uscirne. Più commerciale che politica».

Cosa si aspetta dal futuro del calcio? 
«Il nuovo movimento calcistico dovrebbe essere basato sull’equilibrio tra sport, business e comunità. Questo equilibrio si ottiene attraverso onestà intellettuale, sapere e comunicazione, che generano a loro volta ulteriore fiducia, un miglioramento nel prendere decisioni e della sostenibilità di tutto il movimento».

«Ora ci tengo a fare una domanda io. Ho visitato più di 200 club nella mia esperienza che ha cambiato la mia percezione del calcio. Se sei un club in Estonia, con un milione di abitanti, anche se fai bene cosa puoi fare? Un club di Premier League invece prende 70 milioni di sterline solo perché è in Inghilterra, grazie ai diritti tv, ma magari non fa le cose altrettanto bene. La domanda è: quale dei due club dà più valore al movimento?».

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