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Italiano: «Salvarsi con lo Spezia sarebbe più di uno scudetto. Su Pirlo e la Juve…»
Vincenzo Italiano, tecnico dello Spezia, ha parlato sulle pagine di Repubblica commentando la stagione dei liguri. Le sue parole
Vincenzo Italiano, tecnico dello Spezia, ha parlato sulle pagine di Repubblica commentando la gestione dei liguri e proiettandosi alla sfida di domani contro la Juve.
ITALIANO PREDESTINATO – «Io so solo che vivo per il calcio da quando ho il senso della ragione. Quando ho smesso di giocare mi sono sentito morire, ma adesso faccio qualcosa che mi fa impazzire e continuo a sentire il rumore dei tacchetti, il profumo dell’erbetta, gli umori dello spogliatoio. Il calcio è la mia ragione di vita, mi muove una passione incredibile».
PIRLO – «Io ho conosciuto un ragazzo appassionato e consapevole delle difficoltà che avrebbe incontrato. Ma se ti chiama la Juve cosa fai? Ti butti come mi sarei buttato io, anche se a me il tirocinio è servito moltissimo. All’inizio è normale avere alti e bassi, però intanto ha vinto la Supercoppa. Sono sicuro che ce la farà: è stato per vent’anni al centro del gioco e non è facile ragionare diversamente, ma gli ma gli ho sempre detto che basta attingere agli insegnamenti degli allenatori che ha avuto, come faccio io: quando ho un problema penso a quale soluzione avrebbe trovato chi mi allenava. Se ci sentiamo? Ogni tanto, ci scambiano un’indicazione, una sensazione, magari un complimento».
DAL CAMPO ALLA PANCHINA – «E tutti le sottovalutiamo, io per primo: sono stato capitano, regista, ero un giocatore di personalità e quindi pensavo che diventare allenatore sarebbe stato naturale, ma mica è così. Vieni catapultato in una realtà diversa dove contano la gestione, i rapporti, i particolari, le responsabilità.Quando giocavo, finiva l’allenamento, salivo in macchina e staccavo. Adesso il lavoro comincia proprio quando la seduta sul campo finisce. Non si tratta solo di allenare una squadra, ma è una responsabilità molto più ampia e magari passi ore a pensare a come muovere i giocatori dopo un fallo laterale o una rimessa dal fondo. È tutta un’altra vita, ma è una vita bellissima».
SPEZIA – «I più pensavano che ci avrebbero fatto a fettine, anche per via di tutte le difficoltà che avevamo in partenza. Il 20 agosto molte squadre erano già in ritiro e noi eravamo ancora ai play-off, il mercato l’abbiamo fatto di corsa, per tre mesi abbiamo giocato in campo neutro, pochissimi di noi conoscevano la serie A, molti sono stranieri al primo anno in Italia: con questi presupposti, se ci salviamo sarà più di uno scudetto, oltre che una svolta per le nostre carriere. Anche perché i risultati li stiamo ottenendo giocando bene. Io resto convinto che se non giochi bene non fai risultato e giocar bene vuol dire molte cose, vuole dire farlo quando hai la palla e quando non ce l’hai, vuol dire non avere un atteggiamento passivo. Però alla base ci deve essere l’amor proprio».
SEGRETO – «So farmi seguire, che è la cosa più difficile da ottenere dai giocatori. Per la tattica c’è la lavagna, ma poi devi lavorare sulla loro testa, portarli dalla tua parte toccare tutte le corde, stimolarli a livello emotivo. Io sono stato fortunato: non ho mai avuto un litigio, solo ragazzi fantastici che mi ascoltano. Sarà perché applico la meritocrazia e tratto tutti allo stesso modo, Il mio scopo è cercare di essere credibile, soprattutto quando preparo qualcosa che poi in partita non funziona. È facile esserlo se le tue mosse hanno avuto successo, ma se non è così devi fare in modo che il giocatore continui a fidarsi di te, perché in fondo al loro mister chiedono soprattutto una cosa: essere messi nelle condizioni di rendere al meglio».
PERCORSO – «Ho avuto un percorso professionale che mi ha insegnato tanto e di volta in volta mi ha suggerito come adattarmi alle difficoltà che avrei incontrato. È stato un tirocinio fruttuoso. Ma segreti non ne ho, se non la fortuna e il privilegio di avere allenato ragazzi meravigliosi e la passione smisurata che ci metto. Ai miei giocatori in cambio chiedo soprattutto sacrificio, poi non so cosa pensino di me. Mi piacerebbe metterli tutti quanti in viva voce e chiederglielo».
COSA INSEGNA LA A AD ITALIANO – «Che nessuno parte mai battuto e che si comincia sempre dalla 0-0. E che resta un campionato meraviglioso, dove ogni partita presenta una situazione imprevista da affrontare. C’è sempre una trappola che non ti aspetti, è affascinante».
COMPLIMENTI DI DE LAURENTIIS – «È stato un signore, ma i complimenti non li ha fatti solo a me, li ha fatti allo Spezia calcio. Ne sono orgoglioso, perché tutti pensavano che in serie A saremmo stati di passaggio, che avremmo avuto giusto il tempo di dire arrivederci e grazie. Invece anche quei complimenti hanno dimostrato che stiamo lasciando il segno. Non io, ma lo Spezia».
BARCELLONA – «Più che da un allenatore io sono sempre stato attirato da un modello, quello del Barcellona. Sono affascinato dallo stile, dal timbro di quella società, da quell’idea di calcio con la quale educano già i ragazzi del vivaio. Chiunque vesta quella maglia sa che la strada per il successo passa attraverso la bellezza: è questo che mi entusiasma».
JUVE – «Andiamo a sfidare chi sta dettando legge da anni, è affascinante anche questo. All’apparenza è un ostacolo insormontabile, ma anche la salvezza dello Spezia sembrava che lo fosse. Invece credo che in un modo o nell’altro stiamo riuscendo a creare dei problemi a chiunque, compensando il gap tecnico con l’organizzazione, la passione e l’attaccamento. E facendo più sacrifici degli altri. Ma pensare che non si soffra, tanto più con la Juve, è impensabile. Ma tanto è così: l’unico vero problema di noi allenatori è la partita».