2013
Io della vita non ho capito niente
I giornalisti calcistici si dividono in 3 specie, ma io della vita non ho capito niente
LO SPAZZOLINO – Ci sono degli eventi che mi fanno proprio pensare che io della vita, in fondo in fondo, non ho capito niente. L’altro giorno, per dirne una, ero come sempre alla ricerca del mio spazzolino con la gomma sotto le setole, quello buono per pulire la lingua insomma: non chiedetemi come mai, ma io non vado a dormire la sera se prima non mi faccio una passata di quello sulla lingua per eliminare i micro-batteri che generano la placca, che poi è anche utile per combattere l’alito cattivo e la carie, lo ha detto l’associazione dei dentisti casertani. Comunque va bene, che stavo scrivendo? Ah sì, che cercavo questo benedetto spazzolino da denti e mi sono visto passare davanti un vecchio in Ferrari con accanto una ragazzetta più o meno della mia età, identica a quell’australiana che faceva i film con Massimo Boldi e Christian De Sica, non quella della pubblicità dei primi telefonini, l’altra. Lì ho realizzato per la prima volta che io della vita non ho capito niente: non perché scrivo di calcio e non posso comprarmi una Ferrari, ma perché a guardare questo vecchio ho perso del tempo e la farmacia di turno ha chiuso, quindi per un giorno niente: mi è puzzato l’alito.
LETTERATI – Poi ieri, facendo come al solito rassegna dei vari giornali e dei vari siti internet che si occupano di calcio (ho usato le parole “siti”, “occupare” e “calcio” nella stessa frase, perdonate la volgarità), ho realizzato di nuovo questo pensiero: io, torno a ribadire, della vita non ho capito niente. Non ho capito niente perché, ogni volta che mi “occupo” di questa opinabile materia che è appunto il “calcio” (l’ho rifatto, scusatemi ancora, sono un cafone), ho la vana pretesa di parlare del niente con la leggerezza e la strafottenza con cui di solito, appunto, si parla del niente assoluto. Vi confiderò un segreto ragazzi, ma che resti tra di noi: non ho mai visto nessun giornalista calcistico, anche molto bravo, anche molto famoso, risolvere i problemi della fame in Africa o la crisi israelo-palestinese tramite un editoriale sulla bravura di Conte, sul rapporto tra Galliani e Berlusconi o su quanto sia bello il poetico cielo azzurro di Napoli la mattina quando Higuain segna (giuro di aver letto anche robe del genere, sì). Non ho la pretesa di vergare la “Divina Commedia” o “I Promessi Sposi” e giuro che se Umberto Eco leggesse questa roba che sto scrivendo adesso farebbe fatica a non sputarmi in un occhio. Eppure alcuni la pensano un po’ diversamente.
3 SPECIE – Chi? Non vi faccio i nomi. Non che sia uno sporco omertoso, ma ho appena cambiato tutte e quattro le gomme della macchina e per ora ci tengo che nessuno me le tranci come un filetto di salmone la Vigilia di Natale. Se leggete spesso i giornali, le testate e guardate quando vi capita la tv, saprete già di chi parlo. Per citare Frankie Hi NRG, loro “sono intorno a me, ma non parlano con me, sono come me, ma si sentono meglio”. Ci sanno fare con le parole, un po’ meno con la logica, parlano tanto, ma dicono poco, sono bravi con la forma, ma l’unica sostanza che conoscono è quella stupefacente di cui evidentemente si fanno per scrivere certe robe. Io non li giudico, li detesto. Non li condanno, ma nemmeno li assolvo. Si dividono in tre specie:
– Quelli talmente di parte che sarebbero capaci di far passare Toto Riina da capo della malavita a vittima della malagiustizia e “Cosa Nostra” da un’organizzazione criminale ad un circolo di anziane che bevono il thè e raccontano della prostata dei loro mariti come si trattasse di una roba più trasgressiva di una serata al “Cavo Paradiso” di Mykonos. Sono quelli per cui, vada come vada, la Juventus non trarrà mai benefici da nessun arbitraggio (e gl’hanno concesso un gol in fuorigioco di 5 metri e un braccio), il Milan avrà sempre giornali e tv contro (perché notoriamente è così, su dai, non dite di no) e il Napoli vincerà sempre e comunque lo Scudetto (sì insomma, si è preso solo una piccola pausa di 26 anni, adesso però non guardiamo il pelo). Non è che sono giornalisti tifosi, è che hanno scambiato direttamente la tessera dell’ordine per l’abbonamento in curva. Li riconoscete anche quando sono in tv, perché son quelli che urlano più degli altri: di solito non parlano, abbaiano.
– Quelli che hanno scoperto un qualsiasi giocatore, un loro pupillo, nel lontano 1991 e non perdono occasione per ricordatelo appena apri bocca. Piccolo particolare: il giocatore di cui parlano è nato nel 1992. Sono una specie particolarmente attiva sui social network, spesso sono dei rapaci notturni: non te li togli di dosso fin quando non gli dai ragione, spesso arrivano addirittura a prenderti per stanchezza. Se la pensi come loro, hai fatto le metà del tuo dovere di bravo cittadino e poco importa che non paghi le tasse da cinque anni e l’unico tipa che ti chiama a casa è una funzionaria di Equitalia. Se non la pensi come loro, semplicemente non esisti: il loro concetto di “democrazia” è più o meno paragonabile a quello che aveva Stalin. Ci sono dei coraggiosi che osano rammentare a costoro che quel dato giocatore era stato notato poco prima da qualcun altro, oppure che non è poi tanto sconosciuto, oppure che fino a poco tempo fa un po’ tutti di lui parlavano più o meno con lo stesso tono con cui mia madre parla del mio ex compagno di scuola che è finito a vendere droga: tutto inutile. Loro ti replicheranno con uno smile sorridente ed una frase caustica: «Ti sbagli caro, non è così, io lo conosco da quando ha fatto la prima comunione 🙂», che più o meno nel loro gergo dovrebbe risuonare come: «Un altro tweet del genere e ti vengono a raccogliere in discarica, fallito».
– I peggiori: quelli che hanno fatto il workshop. Non importa dove e come: loro hanno fatto il workshop. Non importa che ai fini della legge quel pezzo di carta conti più o meno come i fogli di giornale che io normalmente uso per addestrare il mio cane a defecare (e non ci sono ancora riuscito, no): loro hanno fatto il workshop. Punto. Tu hai tesserino da giornalista, va bene sì, ma non sai fare la radio, non conosci quelli che contano e non sei mai stato in tv, cosa vuoi saperne di ciò che vuol dire parlare di calcio? Se non ne parli in tv, non esisti. Semi-parafrasando Donnie Darko: «Che c***o vivi a fare se non hai fatto il workshop?». Che loro hanno fatto il workshop l’ho già detto, sì?
IO DELLA VITA NON HO CAPITO NIENTE – Ora, se sono tagliati per fare questo lavoro o no, io non lo so: del resto, quelli come me non li prenderebbero nemmeno al Grande Fratello, perché quelli come me non amano il calcio più della loro stessa vita e non gliene frega niente di parlare in tv di amicizia, fratellanza e frasi fatte. So però con certezza che se difendessi la mia squadra oltre ogni ragionevole dubbio, scoprissi un giovane cambogiano che gioca a calcio nelle piantagioni di cotone, provando magari a farmelo amico nella vana speranza che un giorno arrivi a giocare in Serie A, o facessi un workshop di un qualsiasi calzolaio di questo mestiere, piuttosto che andare a raccogliere arance ad ottobre, ma soprattutto, se riuscissi per una dannata volta a non far chiudere la mia farmacia alle 21 precise di sera, quanto basta a non perdermi lo spazzolino che pulisce la lingua, allora forse magari a quest’ora sarei pure io ricco e famoso. Invece va così: perché io della vita, ora lo so, non ho capito proprio niente.