2017
Inzaghi e il ritorno del Milan ad Atene: «Ricordi straordinari»
Dieci anni dopo la Champions vinta contro il Liverpool, il Milan torna ad Atene. I ricordi di Filippo Inzaghi: «Quella telefonata di Berlusconi…»
L’immagine impressa nella mitologia del pallone rossonero resterà per sempre quella: in ginocchio sul campo, schiena inarcata e faccia sfigurata rivolta verso il cielo.In quel fotogramma però di normale non c’è nulla, perché due gol in una finale di Champions sono un traguardo raggiungibile solo per gli eletti. Sono passati 10 anni e quando Pippo Inzaghi torna a quella notte è come se tornasse sul campo. Oggi il Milan torna per la prima volta all’Olimpico di Atene, dove nel 2007 consumò l’ultimo grande atto dell’era internazionale di Berlusconi (e dove nel 1994 alzò un’altra Coppa dei Campioni), e a Inzaghi fa un po’ strano: «Quando penso all’Olimpico penso a qualcosa di straordinario. Io non ci sono più tornato, anzi non sono proprio più tornato ad Atene e mi auguro di poterlo fare, ovviamente da allenatore. Sarebbe una grande emozione. Mi auguro che l’Olimpico sia di buon auspicio per il Milan e che da lì possa ripartire per tornare in alto».
IL PRESENTE – 10 anni fa la finale di Champions, stavolta la fase a gironi di Europa League: «L’habitat naturale del Milan è la Champions, ma il presente impone di ripartire e se il presente si chiama Europa League occorre affrontarla a testa alta senza fare gli schizzinosi. E poi ha deciso tutto la classifica, no? Tra l’altro questa Europa League mi fa fare un sogno». Inzaghi lo racconta a “La Gazzetta dello Sport”: «Una finale Milan-Lazio, che coinvolgerebbe i miei affetti familiari e calcistici: mio fratello e il Milan. Sarebbe il massimo». Secondo lei i rossoneri potrebbero arrivare in fondo? «Sì, perché hanno un organico importante e occorre quantomeno provarci. Anche se quando si cambia molto comunque serve tempo». Montella non è in una posizione facile: «Con Vincenzo ci siamo giocati la classifica marcatori nel 1996- 97, io giocavo a Bergamo e lui alla Samp. Alla fine la spuntai io. Siamo anche stati compagni in Nazionale, gli auguro il meglio».
AMARCORD – Torniamo a quel 23 maggio di 10 anni fa: «Mi è rimasto impresso il campo, davvero bello. E il tunnel che porta al campo. Non finisce mai, ci vuole una vita per sbucare fuori. E poi gli spogliatoi, grandissimi. Ma credo che una finale di Champions amplifichi tutte le sensazioni… In realtà non mi piacciono gli impianti con la pista di atletica, mi piace sentire la gente addosso, ma per me è e resterà lo stadio più bello del mondo». Ci dia qualche flash di quella notte. «L’invasione di campo di mio papà e mio fratello, il taglio della torta con Berlusconi, la coppa che ho portato dagli spogliatoi al pullman e… anche il rammarico per non averci dormito insieme (ride, ndr). Beh, dormire in realtà è una parola grossa. La prima notte ho dovuto prendere un sonnifero e nelle successive dieci, giuro che non sto scherzando, non ho proprio dormito. Mi svegliavo di continuo pensando sempre di sognare. Poi vedevo sul comodino la targa vinta come miglior giocatore della partita e capivo che era tutto vero. A quella targa tengo da morire: tempo fa mi hanno rubato in casa a Milano ed è stata la prima cosa che ho cercato. Potevano prendermi tutto, ma non quella. Per fortuna non l’avevano presa».