Inter, viaggio nell'impero di Thohir - Calcio News 24
Connettiti con noi

2013

Inter, viaggio nell’impero di Thohir

Avatar di Redazione CalcioNews24

Pubblicato

su

pallone ifa

INTER THOHIR – Giacarta, non solo caldo umido e traffico, ma soldi, tanti soldi, quelli che Erick Thohir vuole investire per acquistare l’Inter. L’acquirente nerazzurro è però ancora distante dal fratello Garibaldi, al 28esimo posto nella classifica d’Indonesia per ricchezza e con un patrimonio di 1,15 miliardi di dollari derivanti dal carbone. Erick Thohir, però, sta crescendo e, come riportato da La Gazzetta dello Sport, tra Ducati, Lamborghini e Ferrari studia lo “sbarco” in Italia. Aldana Devi, una dipendente del magnate indonesiano, appena rientrata dall’Italia, dove ha conosciuto suo marito da cui ora è separata, ha parlato del tycoon: «I vostri giornali erano pieni di titoli su un indonesiano che vuole l’Inter. Non capivo chi fosse, poi ho chiamato un amico e mi ha risposto: “Il tuo capo”. Mister Thohir viene spesso al Lucy, è molto alla mano e parla con tutti. Niente bodyguard, mai formale. Beve qualcosa, scherza, ogni tanto l’incontro è di lavoro. Perché l’Inter? Non so, qui in Indonesia è il Milan la squadra con più tifosi, ma il calcio italiano è molto amato: tutti conoscono Totti, Balotelli, Inzaghi, mio figlio si chiama Alessandro per Del Piero, e un vostro ex, Cappioli, vive a Bali. Noi indonesiani siamo così: se c’è la passione non ci fermiamo e spendiamo tutto pur di avere quello che ci piace».

La redazione della “rosea”, però, ha raccolto alcune dichiarazioni di Thohir per farlo conoscere meglio:

«Negli Usa c’è un calcio molto offensivo, la difesa conta poco, ma quando giochi nei tornei importanti hai bisogno di un grande difensore e anche di un ottimo portiere».

«Ho acquistato una quota del DcUnited per tre motivi: la storia (è il club con più titoli negli Usa, n.d.r.), la chimica tra i proprietari e la voglia di farlo crescere. È un grande brand, ma sottosviluppato. Per esempio non ha lo stadio di proprietà. E quindi è “big but not so big”… Uno stadio per i tifosi, non lontano due ore, con wifi, box vip».

«Mi piace la Major League americana, tutti hanno le stesse possibilità di partecipare e vincere. Vincere soltanto spendendo non fa per me. Vincere anche spendendo, sì. Non mi piace comprare i successi».

«Sono quattro i requisiti per creare una struttura vincente. 1) Un forte management che sviluppi competitività in campo e nel business per aumentare l’offerta per i tifosi. 2) Uno staff tecnico di prim’ordine che renda squadra i singoli giocatori. 3) Calciatori di talento consapevoli di essere parte di una squadra. 4) Una accademia interna e uno staff di osservatori per arricchirla».

«Sono cresciuto con il calcio. Uno dei miei primi ricordi è la finale Argentina-Olanda al Mondiale ‘78, avevo 6 anni. Io e mio fratello ci eravamo divisi il tifo: a me toccò l’Olanda, così fui costretto a mangiare un piattone di patatine piccanti e noccioline».

«Il ricordo più bello nel calcio? Nel 1999. Guardavo la finale di Champions Manchester Utd-Bayern, quando gli inglesi vinsero 2-1 nel recupero. Mia moglie era incinta. Bene: al fischio finale si ruppero le acque e, poche ore dopo, nacquero due gemelli».