2016
Icardi: «Via dal Barcellona col sorriso»
«Inter, nella prossima stagione non possiamo sbagliare!»
Non si preoccupa del parere della gente: Mauro Icardi ha scelto di fregarsene del mondo, giusti o sbagliati che siano certi suoi comportamenti. Il mondo di chi parla troppo e a caso non piace all’attaccante dell’Inter, che si è confessato ai microfoni de La Gazzetta dello Sport, partendo dal progetto ancora incompleto dell’Icardi calciatore, un po’ come quello del club nerazzurro: «Mi manca la nazionale, ma non posso farne una malattia. Inter? Ci ha fregato gennaio e da lì in poi ci è mancata la cattiveria che ti fa dire “Dai, ce la possiamo fare”. Certi errori dovevano già servirci per questo finale di stagione, che non sarà da buttare solo se servirà per non sbagliare di nuovo, la prossima. Cioè se quella che giocheremo sarà l’ultima Europa League: aspettando ancora la Champions, ma non aspettandola e basta».
GLI INIZI – Parla di viaggi Icardi, che quello della vita lo ha fatto a 9 anni, quando da Rosario è volato a Gran Canaria per la crisi che aveva colpito l’Argentina: «La nostra casa era separata solo da un muro dal campo del Sarratea, il mio club: per tre mesi abbiamo vissuto lì, in una stanza accanto agli spogliatoi, che mamma chiudeva a chiave quando c’erano gli allenamenti», ha raccontato l’attaccante, che pianse per il cane Toto: «Il più famoso del barrio perché abbaiava e correva dietro a tutti. A un certo punto ho lasciato la festa e sono andato a sedermi accanto a lui, per salutarlo: “Vado a fare il mio primo viaggio in aereo”. In realtà era il primo viaggio fuori dal mio quartiere e a mamma chiedevo: “Che lingua si parla là? Cosa mangeremo? Avrò degli amici?”. Ma appena arrivato ho conosciuto Sebastian: lui mi avrebbe fatto giocare nel Vecindario e sarebbe diventato il mio fratello delle Canarie». Dai viaggi al cibo e, quindi, alla passione per l’asado: «Io impazzisco per l’asado non c’era domenica che quel gran cocinero di mio padre non accendesse la griglia per tutto il quartiere e pure per le empanadas arabes con la carne marinata, quando inizio posso mangiarne anche 50, però quelle due abbuffate lì chi se le scorda?», rivela Icardi, che da piccolo mangiava anche rane fritte.
NIENTE PAURA – Icardi, però, coltiva un sogno: fare bungee jumping. Per ora non se ne parla: «Wanda dice che sono pazzo, ma quando non correrò più il rischio di compromettere il mio lavoro un po’ di bungee jumping lo farò di sicuro: l’idea di saltare nel vuoto legato a un elastico mi dà un brivido, non mi fa paura, e anche a pensarci bene non ritrovo nella mia vita uno spavento indimenticabile». Non è uno che si fa frenare dalle paure l’attaccante, soprattutto nel calcio: «E di cosa puoi aver paura? Di una partita, un avversario? Ma dai… Di un infortunio? Ma quella non è paura, è “rispetto” di ciò che può succedere da un momento all’altro. E non è neanche dolore quello passa ma semmai la rottura di scatole di vivere solo i doveri ma non i piaceri del calcio per uno, tre o sei mesi. In verità, se la cosa riguardasse solo me, dovrei dire che non ho timore neanche della morte: se muori, muori, e quando arriva è già tutto finito. Il fatto è che non riguarderebbe solo me e ogni volta che sento di tragedie, incidenti o aerei che cadono, ho paura sì: di lasciare la famiglia troppo presto».
LA GAVETTA – Dai discorsi sulle paure e la morte a quelli sulla vecchia il passo è breve, ma Icardi in realtà non se ne preoccupa: «E chi ci pensa mai? Se a 23 anni avessi in testa l’idea di diventare vecchio sarei messo malino, e poi è una delle leggi della vita, c’è poco da pensare. Il bello della vecchiaia sarà poter vivere soprattutto per aiutare gli altri, anche se ho un concetto molto mio della disponibilità. Non do tanto per dare: da piccolo non mi ha mai aiutato nel senso di regalato niente nessuno, e credo che il miglior aiuto per chiunque sia insegnargli a meritare la generosità del prossimo. Per questo da poco ho litigato con mia sorella: andare all’università in pullman era un casino e siccome mi piace che studi le ho comprato un’auto da quindicimila euro, però poi l’ho fatta imbestialire perché mi ha chiesto 60 euro per un paio di occhiali che le piacevano e le ho risposto di andare a lavorare e arrangiarsi. Ha capito cosa intendo?».
DIO E LA RETTA VIA – E’ religioso Icardi, che ha percepito la presenza di Dio in tanti momenti della sua vita: «Non vado spesso a messa, non prego tutti i giorni, ma quando lo faccio ho quasi sempre delle risposte e una volta, a Las Palmas, sono andato anche io in pellegrinaggio a piedi fino al Santuario di Santa Rita, anche se oggi non ricordo più cosa avevo chiesto. Invece ricordo ogni attimo di quando mi sono trovato davanti a Papa Francesco e gli ho chiesto di benedire il pancione di Wanda: è per questo che nostra figlia si chiama Francesca». Il bomber dell’Inter non ha mai rischiato di diventare un delinquente:«Ci sono stati i miei genitori, Juanchi che è il mio migliore amico e José Alberto Cordoba. E poi perché sono sempre stato furbo e dunque ho frequentato quelli più grandi di me. Certo, il calcio mi riempiva giornate che vuote non erano mai visto il mio iperattivismo. Ma non sarebbe stato il calcio a salvarmi se non avessi voluto vedere in faccia la possibile cattiva strada e non avessi capito da solo che non mi interessava prenderla. Alla fine i delinquenti quasi sempre sono quelli che vogliono esserlo, o quelli che non hanno voglia di lavorare».
L’ICARDI SOCIAL – Ed ecco il delicato tema dei social network, con cui ha un rapporto particolare:«Oggi quasi tutti hanno almeno un profilo, ma io uso i social network da molto prima di quasi tutti e non come tanti, che nascondendosi dietro l’anonimato si divertono a giudicare. Sapessero quanto ci divertiamo io e Wanda, a leggere quello che scrivono… Tanto giudicare è gratis, si può far diventare bad boy anche il ragazzo più semplice del mondo, come credo di essere nelle cose essenziali: uno normale che fa cose normali. E’ per questo che posto foto e scrivo: chi mi guarda e mi conosce per quello che faccio in campo, così può vedere anche chi sono e come vivo fuori da lì, perché io mica vivo dentro il campo. Ecco perché non mi pento di nulla, neppure di mettere foto dei miei figli, compresi quelli di Maxi: vivo con loro 365 giorni all’anno, anche loro sono la mia vita. Mi chiedono: ma non diventa una schiavitù essere così social? Ma perché? Se sei un personaggio pubblico, in un certo senso “sei di tutti”. E poi a volte, è inutile fare i finti puristi, è anche una questione di lavoro: quando devi firmare un contratto pubblicitario ormai la prima domanda che ti fanno è sempre quella, “Hai un profilo?”».
FAMIGLIA APERTA – Dall’infatuazione per Gabriel Batistuta («Mai riuscito a conoscerlo di persona, magari un giorno. In compenso ho sempre sperato di riuscire a rubargli il segreto di quella forza che metteva quando giocava, ti sembrava che mangiasse il campo») al rapporto con la sua famiglia: «Non siamo mai stati ricchi ma siamo sempre stati felici, nella nostra famiglia aperta. Ma non è per questo che oggi sento anche Valu, Coki e Benchu come figli miei, e anzi Wanda mi rimprovera perché mi dedico più a loro che a Francesca: lo sono perché sono figli della donna che ho scelto, la prima che mi ha fatto pensare di volere una famiglia. A 14-15 anni mi dicevo “Farò dei figli presto per viverli da giovane”, ma non avrei mai pensato così presto. Un altro ancora? Wanda vorrebbe, io le dico “Facciamo crescere questi e poi godiamoci un po’ la vita noi”. Chi “vincerà”? Boh…».
CRITICHE E SCELTE – Dalla passione per i tatuaggi a quella per il calcio, la sua vita. E, infatti, ricorda con dolore lo stop per la pubalgia: «Ha idea di cosa significa per un calciatore avere un pallone fra i piedi e non riuscire a calciarlo ad un metro, per il dolore? La pubalgia è così: sai come viene, non sai quando se ne andrà. A me venne per colpa di una serie di tiri a fine allenamento, mi scivolò il piede e mi stirai un muscolo intercostale: iniziai a dormire male, a camminare male, si infiammò il pube e come se non bastasse mi toccava anche sentire cazzate tipo che tutto dipendeva dal troppo sesso con Wanda. Mi sarei dovuto fermare subito ma a me non piace star fermo, e figuriamoci arrivare alla Pinetina presto solo per fare massaggi, punture, risonanze: non sono tipo da depressione, ma accorgermi di non riuscire a dare nulla a tifosi che quell’estate mi avevano accolto come un re non era un bel pensiero. Infine, la decisione di lasciare il Barcellona: «Anche oggi, anche pensando a che squadra è, non lo vedo come chissà quale buco nero nella mia carriera. Non sono l’unico che se n’è andato da lì, non è mica la fine del mondo: o perlomeno, io me ne sono andato con un sorriso. Come sempre, quando sono io che scelgo di fare una cosa».