2018
Cosa significa tifare Inter: il racconto commovente di una serata da pazzi
Inter-Tottenham 2-1 cronaca di una notte di ordinaria follia allo stadio: perché i colori nerazzurri sono diversi da tutti gli altri
2381 giorni. Tanto ha dovuto aspettare San Siro, sponda nerazzurra, prima di riascoltare la musichetta più famosa al mondo. Ero allo stadio la sera del 13 marzo 2012 quando Brandao fece calare il sipario sugli eroi del Triplete. In cuor mio pensai: «Torneremo sicuramente il prossimo anno, è illogico pensare ad una Champions League senza Inter». Ingenuo. Lo scotto da pagare prima di poter tornare a giocare con i grandi, è stato altissimo. Lúcio Maranhão, Van Dijk, Kadlec, anni senza coppe Europee, 4 allenatori in una stagione, cambi di proprietà e annate passate a guardare vincere “gli altri”. Sei anni, sei mesi e sei giorni dopo la Champions è tornata a Milano. Tutto vero. Il 20 maggio 2018, Matias Vecino decise di cambiare corso al destino dei tifosi dell’Inter rispedendoli in paradiso. Anzi, a riveder le stelle. Perchè in ogni storia che si rispetti esiste sempre la figura dell’eroe rocambolesco, di quel personaggio insospettabile che incontri quasi per caso e che nelle ultime pagine diventa fondamentale. È una questione del destino, che spesso si mette a giocare con le coincidenze. A pensarci bene Matias Vecino sembra una figura dipinta dalla penna di Osvaldo Soriano, che di pallone ha scritto splendori e miserie. Quelle che ha vissuto ieri sera l’Inter, in grado di ribaltare una partita che sembrava stregata come l’intero inizio di stagione.
Inter-Tottenham: We are Back
Non potevo mancare. Nessuno poteva mancare. Troppi i 6 anni d’astinenza. Troppa la voglia di tornare a urlare: “THE CHAMPIOOOONS”. Appena il sito dell’Inter mette a disposizione i biglietti si comprano. Al diavolo gli impegni professionali e studenteschi. Si torna a San Siro. Prima della partita del Tottenham l’Inter ha vinto, a fatica, in campionato contro un modesto Bologna e ha perso, malamente, contro il Parma in casa. L’aria che si respira intorno alla squadra non è delle migliori ma poco importa, subito dopo il gol di Dimarco il mio unico pensiero è alla partita di Champions. E si arriva a martedì. Il viaggio in macchina da Torino a Milano è dedicato a ricordare le grandi imprese del passato nerazzurro in Champions: la tripletta di Adriano al Porto, la notte di Highbury, il 2010. Sembrano passati secoli.
A due ore dal fischio d’inizio San Siro è già colmo. Ragazzi, ragazze, adulti, bambini (ma che ne sapete voi dell’Hapoel Beer Sheva) aspettano la squadra per il riscaldamento che entra intorno alle 17.10. Boato. San Siro si surriscalda, partono i primi cori d’incitamento ai giocatori che proseguono per tutto il riscaldamento. Al rientro delle due formazioni negli spogliatoi la gente è tutta in piedi per scandire a gran voce i nomi degli undici scelti da Spalletti. Lo speaker non si sente, surclassato da 65.000 anime indemoniate. E’ l’antipasto del momento più atteso. I due schieramenti tornano in campo, si dispongono in riga per ascoltare, di nuovo, l’inno della Champions. Eccolo. Di fianco a me ho dei ragazzi che piangono per l’emozione mentre provano a cantare, in un francese stentato, le parole dell’inno fino all’apice che coinvolge tutta Milano: THE CHAMPIOOOONS. Si può partire.
Inter-Tottenham: Grazie ragazzi
L’Inter parte bene. La tensione per il ritorno in Champions non si fa sentire. Ma, nonostante un buon primo tempo, i nerazzurri non sono riusciti a concretizzare i suoi sforzi. Questo perché, a tratti, si sono riviste le difficoltà di sabato contro il Parma: lentezza pachidermica nel muovere la palla non tanto nella prima impostazione, quanto piuttosto quando l’azione si dovrebbe accendere. In più l’arbitro Turpin ha adottato un metro di giudizio discutibile (eufemismo), accendendo ancora di più il cuore dei tifosi presenti allo stadio. A fine primo tempo però, le sensazioni sono positive. Manca la zampata finale, il centesimo per fare l’euro ma tutti hanno l’impressione che si possa centrare la vittoria.
Certezze che vengono spezzate dal gollonzo di Eriksen. San Siro gelato. No, non di nuovo. Non così. Dopo il gol assurdo di Dimarco, un altro gol frutto del caso. Aleggiano pensieri cupi nella mente degli interisti. Il baratro si avvicina man mano che i minuti passano e la squadra non dà segni di reazione. Esce un abulico Perisic per far posto a Candreva. L’incubo dei tifosi della passata stagione. Entra, prova una ruleta, palla fuori. Ci riprova, salta il difensore, palla fuori. Da San Siro piovono parole irripetibili. Spalletti inserisce Keita al posto di un ottimo Politano, che infatti strappa gli applausi dei tifosi. Nulla da fare. La porta di Vorm è inavvicinabile. A cinque minuti dalla fine, la partita sembrava perfetta per essere riassunta da una vecchia canzone dei Rolling Stones: “You can’t always get what you want”. Non era esattamente il ritorno in Champions League che Spalletti e i tifosi si aspettavano. L’Inter si stava per arrendere, mesta, all’ennesimo rimpallo sfavorevole. Poi, un lampo. L’uomo più atteso, che più di tutti voleva giocare in Champions, tira fuori dal cilindro un colpo da biliardo.
ICARDIIIIIIII. Un gol di rara bellezza. L’esultanza è feroce, il pubblico di San Siro in visibilio. Non si accontenta, anzi, vuole la vittoria. Mi ritrovo a cinque posti più in là rispetto a dove ero seduto al fischio d’inizio ma non importa. Tutto lo stadio è in piedi in attesa del miracolo. Che arriva. 92′ minuto, calcio d’angolo di Candreva, sponda di De Vrij e la (ri)prende Vecino. La riprende Vecino. San Siro esplode. Nessuno si capacita di quello che è appena accaduto, guardo il tabellone luminoso incredulo. Sì, 2-1 per l’Inter è fatta, è vero. E’ la pazza Inter che è tornata di nuovo. Turpin sfida nuovamente il pubblico del Meazza e prolunga la partita di un minuto e trenta fino al triplice fischio che mette fine a una partita assurda. L’Inter vince dopo 2381 giorni di agonia, sofferenza, pianti, fischi e paure. E lo fa come il DNA interista vuole. Nessuno ha più un filo di voce. “Pazza Inter” risuona allo stadio ma nessuno riesce a cantarla, le corde vocali di ogni singolo tifoso chiedono pietà, mentre sconosciuti si abbracciano e altri piangono commossi. Tornando a casa, ripenso a quello che ho appena visto. Ci metterò un paio di giorni a metabolizzarlo, ma non importa. La gioia e le sensazioni sono le medesime del 22 maggio 2010. E, forse, hanno ragione di esserlo.