2009

Inter, Mourinho: “Nel calcio conta la passione. In Italia è più complesso per le grandi che in Inghilterra”

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L’allenatore dell’Inter, Josè Mourinho, ha rilasciato un’intervista esclusiva a Jamie Redknapp, conduttore della trasmissione di Sky Sports, Football’s Next Star. L’ex calciatore inglese allena ed istruisce un gruppo di ragazzi che desiderano giocare per l’Inter. Ecco le parole di Mourinho:

Ti piacciono i giocatori inglesi. Hai lavorato con Terry, so che sei amico di Lampard. Qual è la differenza tra calciatori italiani ed inglesi, in termini di mentalità ?
“E’ difficile dirlo, non ho solo giocatori italiani. Ne ho solamente due-tre. Il nostro nome dice Internazionale, ho giocatori provenienti da 10-12 Paesi diversi” e poi prosegue: “Penso sia più facile essere un tecnico in Inghilterra. C’è un concetto diverso del “manager” e della sua posizione. In Italia devi essere al top, nel senso di come controlli le emozioni. I giocatori sono molto più liberi di potersi esprimere. Al Chelsea cercavo di rendere tutti parte del processo. Non mi piace essere il leader solitario. Voglio gente che sia coinvolta nel mio progetto. Al Chelsea ho dovuto lottare per questo. Ci è voluto tempo per far piacere alla gente il mio progetto. Dopo di quello, avevo le chiavi dello spogliatoio in tasca. Tutti sono della stessa famiglia e tutti si esprimono. Qui c’è più libertà , è una filosofia di vita diversa”.

Mourinho parla anche delle differenze tra le partite in Italie ed in Inghilterra: “Tu eri un ottimo giocatore Jamie (Redknapp, ndr) e sai che l’intensità  in Inghilterra è maggiore che in ogni altro Paese, ma allo stesso tempo – e dico questo sempre anche a tuo cugino – è più difficile giocare a calcio in Italia. Ogni squadra è talmente organizzata tatticamente che ti crea serie difficoltà . Dicevo una volta che una grande squadra era allo stesso livello di un’italiana o anche meglio. Gli ultimi anni di Champions League hanno fatto capire che le italiane non erano a livello delle inglesi, ma quando giochi in campionato, le piccole italiane sono migliori delle piccole in Inghilterra. E’ molto più difficile per una grande squadra in Italia riuscire a vincere una gara contro una piccola che in Inghitlerra. Le persone non vogliono vedere uno spettacolo dal punto di vista tattico, gli importa solo del risultato. Per esempio, una squadra arriva a Stamford Bridge e perde 1-0 e non tira mai in porta contro Petr Cech, la gente criticherà  lo spettacolo. Nessuna qualità , nessuna ambizione in questo tipo di gioco. Se una squadra viene a San Siro e perde nella medesima situazione, non sono criticati. Qui si gioca solamente per il risultato. Per le grandi squadre, vincere è più difficile”.

Che consiglio vorresti dare ad un giovane talento che sogna di diventare un professionista?
“La passione è la chiave per tutto. Per esempio, non so se il mio figlio sarà  un calciatore o no. L’unica cosa che so, è che dorme con la palla nel letto, la porta a scuola. A volte si scorda un libro, ma mai la palla. Certo, ha nove anni, ma quando ne avrà  15,16,17 la passione sarà  sempre necessaria. Se non ami il gioco, come puoi decidere di farlo come lavoro per i prossimi 10 o 15 anni? La passione è ciò che io voglio vedere nei miei giocatori, se manca questo elemento in uno dei miei giocatori, questo mi rende triste. Dopo la passione, ci vuole anche il talento. Senza talento, non hai chance. Quando vedo un giovane e cerco di capire se può arrivare al top, considero prima di tutto la qualità  e la passione, questi sono i fattori più importanti”.

Dal punto di vista di un allenatore, me lo diceva sempre mio padre, la cosa più difficile è dire ad un giocatore che alleni che non è all’altezza del club:
“Ho avuto quest tipo di esperienza. All’inizio ero un allenatore delle giovanili della squadra della mia città . In estate, prima della stasgione, ci sono sempre molti provini, dove hai 100 ragazzi di cui ne scegli 10 o 15 per portare con la tua squadra per il resto dell’anno. Scegliere è sempre stato difficile. Il sistema scolastico dovrebbe tutelare i ragazzi in questo senso. Una cosa è il calcio per tutti, lo sport per tutti. Un’altra è seguire la strada per arrivare al top, quella agonistica. Quando un ragazzo non ha il talento per seguire quella strada, credo che le scuole dovrebbero proteggerlo. Cioè dargli le condizioni di partecipare con la squadra della scuola. In Paesi dove lo sport è organizzato bene, questo non è un problema. La scuola, il governo ed il Paese dovrebbero proteggere i ragazzi da questo tipo di dispiacere che per alcuni può rivelarsi essere drammatico”.

A volte penso che i ragazzi di alcune scuole calcio, dove tutto gli viene offerto su un piatto d’argento, non si accorgono quanto sono fortunati:
“Ho alcuni ragazzi all’Inter e, durante il corso della tua carriera, anche tu avrai avuto dei ragazzini in squadra con te, e questi non sanno quanto sono fortunati. Questa è una delle cose che mi uccide dentro: quanto ho un ragazzo con talento, con la possibilità  di sfondare, e non lo capiscono, fa male. A volte lo capiscono quando la loro carriera è finita, quando hanno ormai 30 o 35 anni e dicono: ‘Ho commesso un errore, ho perso un’opportunità ‘”.

Cosa cerca Josè Mourinho in un giovane calciatore?
“Un cocktail di elementi. Difficile dire quale è la più importante di ambizione, passione, desiderio. Certo, tecnicamente serve qualità , bisogna essere intelligenti tatticamente. Penso che la maniera migliore per descirverlo sia proprio un cocktail di fattori. Si cerca sempre quello che si accosta più al profilo “perfetto”: veloce, forte, agile, tecnicamente sublime, fantasioso, sicuro di sè, non ha paura di rischiare in partita e capisce il calcio. Il prodotto lo devi poi costruire, non viene consegnato, ma ci vogliono un paio di anni per finirlo e sentirsi orgogliosi. Per esempio, per me, Davide Santon ha giocato per la nazionale italiana a 18 anni. A 16 anni e mezzo non era nessuno. Frank Lampard non era nessuno quando era con tuo padre al West Ham. Riuscire a far “arrivare” un giocatore è come un trofeo per noi allenatori”.

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