2017
E’ un’Inter pelle e ossa: la coperta è corta in difesa
L’Inter essenziale di Spalletti ottiene il massimo col minimo sforzo, ma il mercato l’ha ridotta allo scheletro: se qualcuno in difesa si fa male, le riserve sono i relitti del passato
San Siro, secondo tempo di Inter-Spal: i nerazzurri stanno vincendo 1-0 grazie ad un rigore trasformato da Mauro Icardi, quando improvvisamente il terzino Dalbert si ferma per un problema muscolare. Il tecnico Luciano Spalletti richiama a prepararsi Yuto Nagatomo per sostituirlo, e tra il pubblico nerazzurro inizia a serpeggiare preoccupazione, finchè, proprio quando il giapponese sta per fare il suo ingresso in campo, il brasiliano “miracolosamente” si rialza. Allora il nipponico riprende mestamente la via della panchina, con buona pace della platea della Scala del calcio, abituata a ben altro spettacolo da quello che ha offerto lui in sei stagioni passate calcando l’erba del “Meazza”, e che, da tanto tempo a questa parte, ormai ogni anno spera di poter voltare definitivamente pagina con un’Inter e dei giocatori non all’altezza della sua storia e blasone. Il modo principale è sempre sembrato essere quello del calciomercato e della compravendita dei calciatori, per epurare i volti giudicati i peggiori della rosa, ed acquistare affermati ‘top-player’ che fossero garanzia di qualità.
LA SPINA DORSALE C’E’, MA SOLO 11 “TITOLARISSIMI” POSSONO ARRIVARE COL FIATO CORTO – Non è stata questa la strada intrapresa dall’Inter di Luciano Spalletti, non tanto per libera volontà, quanto per problemi di fair-play finanziario; ma, ricordando il flop della multi-milionaria campagna acquisti portata avanti come biglietto di presentazione dalla nuova proprietà cinese Suning solo un anno fa, non è detto che sia un male. Anzi, meglio pochi ma buoni. E così, la squadra nerazzurra 2017-18 presenta appena qualche innesto nei vari reparti, solo gli indispensabili voluti dal tecnico per poter dare una spina dorsale alla sua filosofia di calcio. Un’Inter minimalista, che ottiene il massimo col minimo sforzo, che fa bene quello che le viene ordinato, l’essenziale per vincere. Spalletti ha avuto le pedine funzionali al miglioramento del 4-2-3-1 (perfino l’impianto di gioco è rimasto lo stesso utilizzato dai suoi predecessori e non è cambiato), ma non abbastanza per permettersi il lusso di lasciarne qualcuna in panchina: è quello che fa grande una squadra, è questo che talvolta sposta gli equilibri negli scontri diretti, è ciò che potrebbe gravare a fine stagione quando c’è lo sprint finale.
SPALLETTI FA DA SE’ E FA PER TRE – L’Inter ha la coperta corta, soprattutto in difesa; abbiamo già fatto il racconto dell’incubo materializzatosi a San Siro alla sola idea che potesse entrare Nagatomo, ma, se nella zona centrale si fa male uno tra Skriniar e Miranda, c’è un altro relitto rimasto in eredità dagli incidenti del passato e incagliatosi nell’abisso nerazzurro: Ranocchia. Spalletti sta facendo il possibile, ma qualcuno prima di lui non ha svolto al meglio il proprio lavoro. L’allenatore ex Roma, che nella Capitale ha dimostrato di avere il giusto carisma e spalle grandi a sufficienza per reggere le pressioni di un’intera piazza, ha imparato bene che chi fa da sé fa per tre, come le vittorie finora conquistate e i punti che ogni domenica la sua truppa sta portando a casa, come se si sostituisse anche alle figure di Sabatini e Ausilio. Sperando che, alla fine della corsa, la difesa non arrivi col fiato corto. Col rischio di pagare un prezzo molto più caro di quei 6/7 milioni che sarebbe bastato investire in più in una riserva affidabile.