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Il primo trofeo è di Benzema, la Supercoppa va al Real Madrid

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Il Real Madrid ha ricominciato esattamente da dove aveva terminato, ovvero vincendo un trofeo con l’ennesimo sigillo di Benzema

Il primo dei 6 trofei in palio per il Real Madrid è stato vinto: la Supercoppa Europea entra alla Casa Blanca per la quinta volta. Certamente non sarà così facile ripetersi nelle altre competizioni, ma la squadra di Ancelotti ha aperto il 2022-23 come aveva chiuso la stagione precedente: vincendo. Lo ha fatto con un gol per tempo, tirando il doppio degli avversari e producendo occasioni in proporzioni anche maggiori. E consegnando – in una prestazione serena ma attenta, rispettosa delle qualità dell’avversario – almeno 3 messaggi “da Real Madrid”. 

1 – Non si vince senza rischiare
Pur senza arrivare agli eccessi della scorsa Champions League, dove il Real si è trovato più volte nel baratro per poi risalire con una classe ai confini della realtà, anche a Helsinki c’è stato un brivido iniziale che avrebbe potuto complicare alquanto la partita. La prima grande occasione l’ha avuta sui piedi Kamada, ben servito da Borré (l’uomo di coppa dei tedeschi, tutte le cose buone del loro primo tempo sono arrivate da questo colombiano vivace, che corre tantissimo e rende difficile accorciarlo). Courtois ha detto di no al giapponese, che forse ha avuto troppo tempo per pensare e si è visto rimpicciolire lo specchio quando ha finalmente deciso di tirare.

2 – Il Real sa che quando vuole esprime sempre la sua superiorità
Detta così, sembra una descrizione un po’ banale o arrogante della forza di una super corazzata. Ma se trasferite questa consapevolezza nella mente di ognuno dei componenti, vi rendete conto che è esattamente questa la motivazione del perché una squadra vince senza mai abdicare, se non in casi rarissimi. Ovviamente, i gol traducono iconicamente questa forza. Ma c’è molto altro: la provvidenzialità degli interventi di Casemiro, la qualità sublime dell’esterno di Modric, le accelerazioni di Valverde o Vinicius, i continui passaggi a mezza altezza di Kroos che sembrano rovesci di Federer per come toccano terra esattamente dove si vuole. Quando parte Rodrygo, nel finale, non ha altra intenzione che costringere al fallo l’avversario, un altro modo – l’ennesimo – per dimostrare ciò che si è. Di momenti come questo una gara madridista, quando incontra un avversario importante e la posta è importante, ne crea a dismisura e senza sprecarli, per di più.

3 – La conquista del centro
Per il bene dei moderati italiani – qualsiasi cosa voglia dire – è auspicabile che Calenda, Renzi, Tajani o chiunque altro stasera si sia visto la partita per capire cosa significhi occupare questo benedetto centro di cui tutti parlano. Tralasciando per un attimo da Benzema – ci vuole un trattato a parte e verrà certamente tratteggiato a elezione avvenuta (del Pallone d’Oro, s’intende) – è assolutamente da interpretare come i movimenti di ognuno portino a determinare spazi centrali dove colpire. Il Real respira ovunque, per poi dominare in mezzo quando è il momento. Che può anche essere un corner, dal quale Benzema, Casemiro e Alaba (la struttura centrale, uno per reparto) si allinea per confezionare il gol del vantaggio. Chapeau, Ancelotti!

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