2014

Il confine sottile tra leggenda e meteora: Kazu Miura

Pubblicato

su

Simbolo del Giappone calcistico, dimenticato troppo presto in Italia

Il confine tra leggenda e meteora, tra campione e bidone, lo si immagina sempre come netto e perfettamente delineato: qualcosa di oggettivo, su cui non si discute. Se sai trattare il pallone, se sai fare il tuo mestiere di calciatore nel modo giusto, puoi ambire ad un ruolo da protagonista tra le stelle del calcio; se invece sei scarso ti devi rassegnare a finire ben presto nel dimenticatoio. Troppo semplice, troppo superficiale. Kazuyoshi Miura è una leggenda, è il Giappone calcistico personificato, ed al contempo è stato meteora in Italia: leggenda poiché vero simbolo della crescita del movimento calcistico giapponese, meteora poiché protagonista soltanto per una stagione in Serie A, condita dalla miseria di una sola rete (anche se pesante più che mai, nel derby della Lanterna). Il calcio è nel DNA di Kazuyoshi, o Kazu come ha sempre preferito farsi chiamare: la storia di un ragazzino giapponese che parte da Shizuoka insieme al fratello maggiore per raggiungere il Brasile, la patria della passione calcistica, è già di per sé un film, un’avventura straordinaria. Un quindicenne armato di un sogno e di tanta volontà, di desideri troppo grandi per un Paese come il Giappone che, nei primi anni ’80, non viveva ancora il calcio come qualcosa di serio, di popolare. Qualcosa iniziava a muoversi, ed è curioso pensare alla parabola fumettistica di Holly Hutton, volato come Miura in Brasile per interiorizzare i segreti del calcio, per assorbire il talento. Il Brasile fu una tappa dura, una strada in salita: otto anni trascorsi lontano anni luce dal suo Giappone, in panchina, distante dal palcoscenico tanto agognato. 

L’avventura brasiliana del giovane Miura: i primi passi

IL LAVORO PAGA – L’impegno e la qualità alla lunga però pagarono e, al momento del ritorno nel Sol levante, Miura era un altro, qualcosa di diverso dal quindicenne partito nell’82. Non era solo Kazu ad essere cambiato ma l’intero panorama calcistico giapponese sembrava in evoluzione: a partire dal 1992 infatti la Japan League prenderà il posto dell’amatoriale JSL dotando il Giappone del suo primo campionato professionistico. L’esplosione di Miura, con la maglia del Verdy Kawasaki, andò di pari passo con la nascita del professionismo nel Sol levante: l’attaccante trascinò la squadra verso la conquista del primo titolo segnando più di 40 reti, tra cui quelle decisive per il successo in campionato. Miura era già una stella, rappresentava in tutto e per tutto l’ascesa del calcio giapponese e la crescente popolarità del pallone in un Paese generalmente più votato al baseball. La carica simbolica rivestita dall’attaccante assunse un significato ancora maggiore nel momento del passaggio al Genoa, società allora guidata dal sempre istrionico Aldo Spinelli. Siamo nell’estate del 1994 e, grazie ad un accordo tra la società rossoblu e gli sponsor del giocatore, Miura divenne il primo giapponese tesserato da una squadra italiana: il capostipite di una dinastia che avrebbe poi visto arrivare, con fortune alterne, i vari Nakata, Nanami, Oguro, Ogasawara, Morimoto, Nagatomo ed Honda.

Miglior giocatore giapponese del 1993: pronto per il grande salto

DALLE STELLE… – Miura arrivò a Genova accolto dalla curiosità e dal comprensibile scetticismo che da sempre si riserva alle novità, a ciò che è esotico. In Giappone era già una stella a pieno titolo: MVP della J-League 1993, conteso dalle trasmissioni televisive, compagno della pop star Shitara Risako. In Italia Miura era invece tutto da scoprire, così come la Serie A era tutta da scoprire per Miura: dopo il Brasile una nuova tappa per diventare davvero grande, imparando dai migliori. Il Genoa spiegò fin da subito quanto l’acquisto si legasse ad un’operazione più ampia, alla volontà di allargare il business, di guardare con occhio di riguardo al mercato nipponico anche in senso prettamente turistico, nell’interesse dell’intera Liguria. Una prospettiva inedita, terribilmente moderna per i primi anni ’90, ma sportivamente poco appagante. Il problema non era tanto la tecnica quanto l’ambientamento: lo spazio in campo fu raro e non da titolare, concesso più per un discorso di accordi societari che non per reale fiducia da parte di Scoglio. Il ricordo dell’esperienza italiana è solo uno, ma vale tanto: Miura stesso ha raccontato successivamente quanto la rete nel derby gli sia rimasta nel cuore, per l’abbraccio dei compagni e l’esplosione del Ferraris dopo il suo scaltro tocco sotto per il provvisorio vantaggio. Fu il primo e l’ultimo lampo dell’esperienza italiana di Miura, condizionata da infortuni e dai frequenti viaggi per rappresentare la Nazionale giapponese (come da contratto, nulla di imprevisto) poi trascinata alla conquista della prima, storica, partecipazione ai Mondiali.

Primo ed unico lampo di Miura in Italia: il gol nel derby

LA LEGGENDA CONTINUA – Finita la parentesi italiana il ritorno in Giappone fu glorioso: il Verdy Kawasaki, anche se in declino rispetto ai primi anni ’90, vide Miura segnare ben 55 reti, superando quota 100 con la maglia del club. Siamo nel 1998, ultimi sprazzi di continuità sotto porta se si eccettua la parentesi nel Kyoto Sanga, ma la leggenda non si è mai esaurita, al di là della freddezza sotto porta: non tanto per la nuova esperienza europea nella Dinamo Zagabria (12 presenze, nessun gol), non tanto per le reti con la maglia del Vissel Kobe, quanto per il fatto che, appena un mese fa, Miura sedeva ancora in panchina, come giocatore, nella sfida tra Yokohama FC e e Fagiano Okayama (J-League 2). Un ragazzino di 47 anni ancora in pista, diviso tra lo Yokohama ed il proprio museo personale: una carriera infinita per un raro caso di profeta in patria, rimasto purtroppo inespresso ed incompreso nella sua fugace avventura italiana.

 

Exit mobile version