2012

Il Caso: Striscioni come pezzi di noi

Pubblicato

su

Lo striscione apparso sabato sera allo “Juventus Stadium” e “dedicato” alla tragedia di Superga, è solo l’ennesima traccia di sangue lasciata dal cadavere, ormai agonizzante, della società attuale. Sì perché il calcio c’entra poco, chiariamolo subito. Ciò che accade all’interno degli stadi italiani, è la naturale conseguenza di ciò che succede nella quotidianità di questo Paese e di quello che siamo diventati. Sarà banale ma è l’amara verità. Dispiace che la curva intitolata a Gaetano Scirea abbia ospitato un simile obbrobrio d’inciviltà: è evidente che chi lo ha prodotto non ha mai visto giocare nè ascoltato parlare l’ex numero sei bianconero, uomo esemplare e giusto, se mai è esistista tale qualità tra gli esseri umani, dentro e fuori dal campo.

Senza addentrarci in riflessioni sociologiche che risulterebbero inevitabilmente spicciole, banali e populistiche, ci limitiamo ad una semplice considerazione: se nelle scuole italiani si riprendono le difficoltà di un compagno diversamente abile per divulgarle poi su internet, è lecito attendersi qualcosa di meglio dai comportamenti dei tifosi, usciti magari da quegli stessi istituti d’insegnamento? Gli insulti, la rabbia mista a vergognoso indivisualismo, la maleducazione ormai tollerata ovunque, non sono altro che i biglietti da visita della società attuale e tutto ciò trova nello stadio, cioè nell’arena popolare per eccellenza, libero sfogo. Ecco perché è ipocrita scandalizzarsi per lo slogan di Torino: esso non è altro che l’ennesimo articolo di un campionario assai vasto. Dai morti dell’Heysel, alla tragedia personale di Gianluca Pessotto, passando per i cori contro Morosini, è tutto un fioccare di insulti barbari, colpi di mannaia al senso civico (ammesso sia mai esistito) di una nazione in disfacimento. Gli slogan razzisti ormai non fanno più notizia, alla stregua di hit musciali uscite di classifica. Ecco a quanto siamo ridotti.

Come cancellare queste bestialità? Attraverso la rinascita sociale e civile del Paese. Rassegnamoci perché non c’è sistema coercitivo, ammenda o squalifica che tenga. Il processo è troppo vasto ed invasivo perché possa accontentarsi di semplici, minuscoli palliativi.

Colpa nostra: avremmo dovuto rendercene conto quando lo abbiamo innescato. Occorreranno anni se non decenni perché la coscienza di ciascuno torni ad essere più forte dell’onda che ci sta trascinando sempre più in basso.


“Accettare la civiltà quale essa è significa praticamente accettare la decadenza”

George Orwell

Exit mobile version