2013

Il Caso – Fiorentina e Napoli, questione di mentalità

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“Con la Juve siamo andati a giocare su un campo di caratura internazionale, che ti mette un po’ di timore. Non è stato sbagliato l’approccio ma il gol dell’1-0 ci ha abbattuti”. Parole e musica di Daniele Pradé, direttore sportivo della Fiorentina, di un club che credevamo più ambizioso. Invece i viola si sciolgono banalmente come neve al sole, crollando alla prima asperità degna di questo nome, dopo peraltro aver incespicato a ripetizione in gradini ben più bassi. Squadra giovane, fresca di assemblamento ribatterebbe il dirigente gigliato: certo, c’è bisogno di tempo per amalgamare ingredienti saporiti ma instabili, però resta il fatto, non trascurabile, che la Sampdoria, non proprio il Real Madrid, nello stessa terribile arena è stata in grado di rimontare un gol e vincere, senza abbattimenti e scoramenti di sorta. Allora? Allora, insieme alla tattica, ai movimenti, agli schemi e alla tecnica individuale, occorrono mentalità ed attributi che, almeno al momento, a Firenze latitano. Jovetic, la punta di diamante inseguita da mezza Europa, che dà forfait ingiustificato nel momento della verità, è lo specchio di una squadra promettente ma deludentemente acerba. Guai ad autoconsolarsi con la solfa del “ci vuole il tempo che ci vuole”: la personalità per giocare a Torino non si acquisisce con i gironi di andata e ritorno. E’ piuttosto una dote innata, difficile da trapiantare se assente. Pradé ne tenga conto in estate quando avrà l’opportunità di ritoccare il buon lavoro fatto fino ad oggi ma chiaramente incompleto. Si doti di cesoie per i rami più secchi senza badare ai ricchi germogli: solo così potrà far compiere alla squadra quel salto di qualità che i giocatori attuali, alcuni ormai giovani veterani, difficilmente le consentiranno di fare.

A proposito di salto di qualità: chi lo assumeva come ormai compiuto dal Napoli di Walter Mazzarri, sarà rimasto di stucco nel vedere i partenopei crollare sotto i colpi di una borghese europa qualunque come il Viktoria Plzen. Leggere le dichiarazioni post partita dell’allenatore livornese, una via di mezzo tra lo scocciato e il superficiale, può rendere meglio di ogni altra considerazione l’idea di cosa sia il Napoli attuale: “Abbiamo sbagliato l’approccio, poi oggi era anche il compleanno di Cavani. Siamo stati troppo molli”. Della serie “sai quanto me ne frega e adesso non rompetemi che ho da fare cose più serie”.

Peccato che certe bastonate sui denti, oltre a ledere il prestigio del club, riducano in poltiglia quello che di vincente è stato costruito, faticosamente, nella mentalità (sempre lei) dei giocatori. A Mazzarri faremmo sommessamente notare che se sei capace di perdere in casa con il Viktoria, probabilmente (ed è già accaduto in passato: recente e meno) darai il bis anche in campionato, la competizione a cui lui tiene tanto, contro il Chievo o l’Atalanta di turno.

La storia del calcio è piena zeppa di squadre tecnicamente modeste, capaci però di grandi imprese perché sorrette dalla giusta mentalità. Quella che permette ad un allenatore di mandare in campo la propria squadra sempre per vincere, o per cercare di farlo, poco importa il contesto o la competizione. Quella che, almeno al momento, né Fiorentina né Napoli posseggono. Neppure lontanamente.

“Se sei un campione non dai le spalle, perché non hai nulla di cui pentirti. E guardi i tuoi avversari uno a uno, in faccia. Anche se stanno strappandoti la vita. E’ una questione di mentalità”.

Sergej Bubka

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