2013
Il caso – E sarebbe bravo?
“Se spendi duecento milioni di euro, prima o dopo è pure normale vincere. Sarebbe patologico il contrario”. Così parlò Alberto Aquilani, ironia della sorte, uno dei primi acquisti, in leasing naturalmente, di Giuseppe Marotta in bianconero. Il centrocampista arrivò insieme a Gigi Delneri e ad una masnada di comprimari, arraffati frettolosamante dagli scaffali all’ingrosso del calciomercato, manco fosse alle porte una guerra nucleare e urgesse rifornirsi di viveri in abbondanza senza badare troppo alla qualità e ai gusti.
Qualità, per l’appunto. Da dirigente blucerchiato, Marotta dimostrò di averne: ma è poi così vero? Memorabile per i più il colpo Cassano, strappato al Real Madrid senza scucire un euro. Impresa epica, non c’è che dire, che andrebbe in realtà ridimensionata almeno un po’: il barese era una “mela marcia” nella cesta della frutta degli spagnoli, che pur di liberarsene, pagarono perfino una bella fetta dell’ingaggio. All’epoca poi, a Madrid erano sul fessacchiotto andante: ci fosse stato Josè Mourinho nella pancia del Bernabeu, ben difficilmente il nostro avrebbe realizzato il colpo della vita. Sta di fatto che Beppe, sull’onda dei successi doriani, si ritrova con in tasca il biglietto vincente della lotteria: una scrivania in Corso Galileo Ferraris e il fido Paratici a fargli da direttore sportivo. E cosa dimostra da ad e dg bianconero? Di non saper né comprare né, conseguenza logica, vendere.
Qualche esempio? Con Aquilani, arriva l’ossigenato Milos Krasic, spacciato per ala devastante ma in realtà in possesso di un campionario tecnico (e di finte), assai limitato: pagato 15 milioni ai russi, viene ceduto dopo due (deludenti) stagioni ai turchi del Fenerbahçe per 7 milioni, pagabili pure in due anni. Un affare, non c’è che dire. Ah, nel primo mercato estivo marottiano, arriva pure il “gioiello” Jorge Martinez, un fenomeno che costa la bestemmia di 12 milioni di euro, completamente bruciati visto il rendimento da ectoplasma del giocatore e il limbo assoluto nel quale è ormai precipitato. Altra intuizione geniale. Il contorno poi, è da favola: Marco Motta, Traorè, Rinaudo, gente neppure degna della tribuna. Arrivano anche pezzi importanti, ma Marotta li paga, come al solito, uno sproposito. Un Bonucci giovane e poco affidabile, costato 15,5 milioni di euro; Pepe invece, “solo” 10. Non proprio dei colpi da abile negoziatore; piuttosto acquisti da “grazie, mi sembra un prezzo equo” e via, mano al libretto assegni. Come dimenticare poi, in tutto questo eccitante quanto dispendioso bailamme, la rapida giubilazione di David Trezeguet, uno che ancora oggi potrebbe insegnare a Matri, Vucinic e Giovinco, come si stoppa e tira in porta? Chapeu, altra mossa da accanito mangiatore di pane e paté di volpe.
Sorvoliamo sui rattoppi invernali della disastrosa stagione Delneri. Anzi, no. Passi per il paracarro Toni (a cui però si regala un immancabile, generoso ingaggio), ecco arrivare il bomber Matri. Discreto attaccante che il furbo Cellino, trattandosi di Juventus, si fa pagare caro quanto un pied a terre a Porto Cervo: 18 milioni di euro (con la solita, fantasmagorica, formula del prestito con diritto di riscatto) e passa la paura. A Torino sono generosi: e non ne vuoi approfittare?
Arriva Antonio Conte, grazie ad Andrea Agnelli e le cose cambiano, ma mica tanto. Lui, Beppe, avrebbe dato un occhio, pardon, un braccio, per tenersi Delneri, ma il troppo stroppia e allora bisogna dare retta anche a chi paga lo stipendio. Fantastico il colpo Pirlo, su questo non si discute: ma l’operazione, vista nel complesso e favorita dalla dabbenaggine milanista, ha lo stesso fascino di un’oasi meravigliosa nel piattume desolante del deserto. Una ogni migliaio di chilometri quadrati: aivoglia a morire di sete. Non abbiamo omesso l’arrivo di Andrea Barzagli: quello sì un colpo da maestro del mercato dotato di fiuto e tempismo, ma sarà una perla rara, proprio come Pirlo e Vidal. Troppo poco per ricacciare nell’oblio la marea di euro buttati nel pattume.
Dicevamo di Antonio Conte: con l’ex regista rossonero, ecco il cileno Vidal, felice intuizione, non c’è che dire, e Mirko Vucinic. Il montenegrino lo conoscono tutti; capace di grandi lampi e sconcertanti attacchi di irritante svogliatezza, ha 28 anni quando decide di chiudere con la Roma. 15 milioni di euro non sono, probabilmente, né tanto né poco ma forse, vista la volontà del giocatore, uno sconticino non sarebbe stato proprio possibile? Poi il mistero olandese Elia: ancora oggi ci si chiede in mezza Europa, perché Marotta lo abbia portato a Torino per 10 milioni di euro (per poi rivenderlo al Werder, ovviamente, sottocosto) se l’idea di base era quella di impiegarlo come carta da parati per lo spogliatoio. Per uno scambio culturale con la città di Amburgo (club di provenienza)? Non è dato sapersi ma restano le risorse economiche sprecate e destinabili ad altri, più opportuni, obiettivi.
Nel frattempo, il nostro lavora alacremente sul fronte delle cessioni: regala Thiago Mendes all’Atletico Madrid, presta Felipe Melo ai “poveri” turchi del Galatasary (gli stessi che avrebbero pasteggiato a caviale e champagne l’anno dopo: Drogba e Sneijder) e non sa dove schiaffare lo svizzero Ziegler, che a Conte sta insidacabilmente sui maroni. E Vincenzo Iaquinta? Il bomber in disarmo, osserva le abili mosse del suo dg, incapace di piazzarlo se non in prestito ed in club improbabili: l’attaccante sarà destinato a riproporsi sullo stomaco della Juventus come un piatto di poco digeribili peperoni. Marotta non si dota di bicarbonato e continua a pagargli 3 milioni d’ingaggio all’anno (più o meno). All’Inter i contratti, benchè un po’ a vanvera (Julio Cesar) li rescindono. A Vinovo non si usa: vuoi mettere la soddisfazione di vederli arrivare alla scadenza naturale?
Che cattivi che siete, però! Marotta avrà pure fatto qualcosa di buono, e che diamine! Sì, ha invitato a Vinovo, nella genesi del romanzo d’appendice “Un Top Player a Torino”, prima gli agenti di Aguero e poi, in gran segreto (sigh), Robie Van Persie in persona: della serie, “Ecco quello che vi perdete se non accettate le nostre offerte”. Detto fatto: piatti di lenticchie respinti inesorabilmente alla cucina. In Europa infatti, si usa entrare nei ristoranti di lusso solo dopo essersi assicurati di avere la carta di credito ben funzionante ed abilitata al prevedibile salasso.
Tra un Padoin ed un Peluso (10 milioni di euro in due: Verratti no, eh?), un Drogba d’annata e un Lisandro Lopez in saldo (ma non per i francesi), un Pogba arrivato grazie ai buoni uffici di Pavel Nedved, e un Llorente tutto da scoprire (ma con il solito ingaggio da nababbo), Marotta si propone quindi quale migliore dirigente calcistico italiano, esponendo orgoglioso il tricolore, arrivato unicamente e grazie al lavoro maniacale di Antonio Conte.
Ok, direte voi, però Beppe è un abilissimo uomo immagine. Sì, come no. Quando parla, lo fa per confondere gli avversari con banalità ammorbanti o per destabilizzarli con uscite clamorosamente fuoriluogo (vedasi Catania o lo “scivolone” post Juventus-Genoa). Un fine diplomatico, non c’è che dire. Uno che alza la voce al momento e nel luogo sbagliati e sbraca invece davanti alle richieste da strozzini della controparte. Uno a cui per vendere servirebbe un corso accelerato su Ebay (a quando una cessione remunerativa?) e un periodo di disintossicazione dalla pratica degenerativa del prestito. Uno che dovrebbe imparare da Pierpaolo Marino, ad esempio, come si scovano i talenti e li si mette sotto contratto senza dover ricorrere alle risorse auree della casa. Sì, lo stesso Marino che gli ha ammollato Padoin prima e Peluso poi e non proprio per due tozzi di pane.
Uno che non mollerà la poltrona di CGF ancora per parecchi anni, temiamo: vorrete mica che riduca così presto in mille pezzi il biglietto vincente della lotteria?
“Abbiamo bisogno di persone brave, non solo di brave persone”
(Henry Ford)