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Ibrahimovic SVELA: «Mourinho manipolatore. Vi spiego il MIO RUOLO al Milan»

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Zlatan Ibrahimovic ha rilasciato un’intervista ai microfoni di The Athletic. Ecco cosa ha detto il dirigente del Milan

Le parole di Zlatan Ibrahimovic in un’intervista ai microfoni di The Athletic tra Milan, futuro citando anche Mourinho.

SPORT ALLE OLIMPIADI – «Sarei il migliore in ogni sport con la palla. Arti marziali? Facevo taekwondo. Con i piedi sono veloce, mi muovo bene. Avevo il vantaggio di essere alto 1,97 metri, ma mi muovevo come un ragazzo di 1,60. Ecco perché ero uno scherzo della natura. Non sto cercando di impressionarti. Ma mi piace l’adrenalina del taekwondo, ho bisogno di sentirmi vivo. Questa è l’unica cosa che mi manca nel calcio in realtà giocare a calcio. A volte mi manca sentirmi vivo»

MILAN – «Seguo gli allenamenti dei giocatori ma non sono una babysitter. I miei giocatori sono adulti e devono assumersi le responsabilità. Devono dare il 200% anche quando non ci sono. Quando arrivi nel club, come giovane talento o giocatore con potenziale, il club ti formerà perché cresci fino a comprendere il modo in cui funziona un club e l’ambiente circostante. Al Milan vogliamo creare questo in modo positivo»

DIO – «Quando mio fratello morì, aveva la leucemia. Dov’era Dio per aiutarlo? Ringrazi Dio ogni giorno, preghi Dio. Ma dov’era Dio adesso? Nel mio mondo, tu sei il tuo Dio. Questo è ciò in cui credo, questa è la mia mentalità»

POSIZIONE AL MILAN – «Ho voce in capitolo in molte categorie per portare risultati e aumentare il valore, il tutto con l’ambizione di vincere»

FARE L’ ALLENATORE – «Vedi i miei capelli grigi? Figuriamoci dopo una settimana da allenatore. La vita di un allenatore dura fino a 12 ore al giorno. Non hai assolutamente tempo libero. Il mio ruolo è connettere tutto; essere un leader dall’alto e assicurarsi che la struttura e l’organizzazione funzionino. Per tenere tutti sull’attenti»

PASSATO IN AMERICA – «Mi trasferii a Los Angeles per vedere se ero ancora vivo, e lo ero. E questo è diventato un problema. Avevo bisogno di tornare al luogo a cui appartenevo»

RITORNO AL MILAN NEL 2020 – «Quando sono venuto la seconda volta, si trattava più di dare che di prendere. Volevo aprire la strada a una nuova generazione. Tu sei l’esempio, dicendo: “Ascolta, è così che funziona”. Quando sei a Milano è l’élite dell’élite: pressioni, pretese, obblighi. Bisogna assumersi la responsabilità, diventare uomo, perché un giocatore non conta solo il campo, ma anche la persona fuori. Ero il punto di riferimento. Non avevo un ego al riguardo. Ero come una specie di…angelo custode. Quindi tutta la pressione ricadrebbe su di me, non su di loro, ma allo stesso tempo facevo pressione su di loro»

IMPATTO SUI GIOVANI – «Non avevo bisogno di segnare un gol in più o uno in meno. Non cambierebbe la mia carriera. Si trattava più di preparare il futuro per gli altri perché credo che questa giovane generazione abbia bisogno di un leader da seguire. Se non hai esempi, soprattutto quando giochi in grandi club, chi ti indicherà la strada? L’ho fatto in un modo in cui non si trattava di me, ma della squadra. Tutti questi ragazzi giovani che non avevano mai giocato la Champions League e non avevano mai vinto. Quando invecchi, devi trovare i punti trigger. Non si tratta di contratti dopo 20 anni. Il mio punto di partenza è stato mostrare la strada per la squadra giovane»

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