2020

Ibrahimovic: «Ho giocato in tanti club ma è al Milan che mi sento a casa»

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Zlatan Ibrahimovic ha rilasciato una lunga intervista a Sportweek, in cui ha parlato del suo amore per il Milan

Zlatan Ibrahimovic ha rilasciato una lunga intervista a Sportweek, in cui ha parlato del suo amore per il Milan. Ecco e sue dichiarazioni.

IO PORTO I REGALI- «Per me non chiedo mai niente. Sono io Babbo Natale, sono io che porto i regali a tutti i miei 27 bimbi: due sono in Svezia e gli altri 25 a Milanello. Quest’anno tanti complimenti, per quello che abbiamo fatto e per quello che stiamo facendo. Ne abbiamo perse pochissime. Non so se è grazie a me, ma qualcosa ho fatto, qualcosa ho portato dentro. Quando sono arrivato a gennaio scorso, il Milan era dodicesimo. E avevano già scritto il finale, avevano già giudicato prima di vedere i risultati: non c’era partita. Invece siamo arrivati al top, stiamo dimostrando di essere parte del top e ora bisogna continuare così».

AL MILAN MI SENTO A CASA-  «Ho giocato in tanti club e ho rispetto per tutti i miei club. Grandi ricordi. Ma il Milan è il club dove mi sento a casa. Vado a Milanello ogni mattina e non ho fretta di tornare a casa, perché sono a casa. Mi sono sentito così la prima volta che sono venuto al Milan, era il 2010».

CON BERLUSCONI- «Con Galliani e Berlusconi, con la squadra, tutti quelli che lavoravano li, c’era un altro feeling, un’altra atmosfera. Ti facevano sentire a casa. “Sei a casa tua, fai quello che vuoi però devi portare i risultati”. Questo mi piaceva perché potevo essere me stesso e allo stesso tempo giocavo per uno dei club più grandi al mondo. Per questo per me il Milan è il top of the top. A Milano ho tanti amici, non sarà strano per me viverci anche quando avrò smesso di giocare: in questi dieci anni è cresciuta tanto, è molto internazionale, mi piace. E mi spiace per questo Covid-19».

MAGIE- «Magie? Ne ho fatte tante, troppe. La più importante è aver fatto la differenza in campo. A tanti sembra impossibile che io, alto quasi due metri, sia capace di fare quello che faccio. E non l’ho fatto solo una volta, l’ho fatto tante volte. Questo mi piace. Quando ero piccolo avevo in testa di diventare più completo possibile, non volevo essere bravo solo nel dribbling o nel tiro o di testa. Io volevo essere il più forte in tutto. Sono completo, questa è la mia magia. Io sono focus. Quando faccio una cosa, devo raggiungerla. Quando sono in campo sono 200 percento focus e pretendo lo stesso da tutti i compagni. Poi dopo scherziamo».

SUI TROFEI- «Non cambierei i miei 12 Guldbollen (il Pallone d’oro svedese, ndr) per uno di France Football. Perché per me significano continuità. Ho visto tanti che hanno vinto Mondiale, Europeo, Champions League, anche il Pallone d’oro, hanno avuto un anno meraviglioso, fantastico, poi dopo sono spariti. Invece io sono nel game da 25 anni. Sempre al top. Sempre al top. Allora non cambio niente per una cosa, perché una cosa è come un k.o., un colpo fortunato, Questo non è un one lucky shot. C’è una grande differenza».

OBIETTIVO MILAN-  «La vittoria è la mia droga. È difficile spiegare, però quando sono in campo io devo vincere. A tutti i costi, ma sempre. Ho un rating di vittorie in allenamento, nelle partitelle, del 95 per cento. Non è una bugia. Quando perdo si vede, ma non capita spesso perché non perdo. Sono troppo fissato di vincere, ma troppo. Forse si è capito anche con la squadra, come nel pareggio col Parma: forse sei mesi fa sarebbero stati contenti, invece stavolta erano tutti incazzati e il giorno dopo lo erano ancora. Così deve essere. (In assoluto, droga è una parola brutta. La gente che si droga è gente debole. Quelli che hanno tutto e si ammazzano non li rispetto, In strada c’è gente che non mangia, dorme sotto i ponti e non molla, perché è forte)».

LA SFIDA PIÙ BELLA- «Ho vinto in tutti i club dove ho giocatoma quest’anno col Milan è di sicuro la sfida più bella e più difficile della mia carriera. E vediamo come finirà, perché se mi torna qualcosa sarà la vittoria più bella, il meglio che ho fatto. Non ho paura di sognare che possiamo riuscirci».

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