2016
Juve, 5 spunti di riflessione dopo Verona
Tra tradizioni, piccole pericolose, cali di tensione, singoli, cuore e anima
Perdere con il sorriso. Può essere questo il senso della serata del Bentegodi per la tifoseria bianconera. Il lusso e il privilegio di vincere gli Scudetti con largo anticipo significa anche esattamente questo: potersi permettere una brutta figura a giochi fatti. Partecipare al clima di festa altrui, anche se la festa te la stanno facendo. L’addio di Toni, con l’impertinente rigore a scavino e l’avversarsi del noto ribaltone per il quale l’ultima in classifica sgambetta la prima già campione d’Italia, cosa già successa l’anno scorso a Parma, quando i pensieri erano rivolti altrove: la morale della serata apparentemente è tutta qui. Anche se una visione più allargata dell’evento può invece rivelarsi produttiva. Provo pertanto a elencare le cinque piccole indicazioni che la sera “indolore” di Verona ha rivelato.
- LA TRADIZIONE ESISTE – A Verona le grandi cadono spesso e volentieri. Non sarà la fatal Verona per i bianconeri, che anzi da quello stadio hanno ricevuto in dono lo scudetto del 1973 visto come lì vi cadde il Milan in maniera fragorosa. Ma vorrà pur dire qualcosa se prima della sconfitta di ieri i bianconeri pur dominatori con Conte e con Allegri, erano usciti fuori con un paio di 2 a 2 consecutivi e con Toni sempre in gol. Il terzo centro di fila del Luca trentottenne passa alla storia e la storia dice che la Juve non vince in quello stadio contro l’Hellas addirittura dalla Serie B, anche perché per “colpa” dei padroni di casa gli appuntamenti si sono rarefatti. E chissà, vista la retrocessione, se ci si incontrerà presto, in tempi ravvicinati. Certo che vedendo la grinta e la determinazione su ogni pallone messa in campo dai gialloblù, oltre ad una condizione atletica invidiale, ci si chiede se Del Nerio sarebbe arrivato prima, visto che ha rilevato la panchina da Mandorlini a giochi quasi compromessi, doveva recuperare 8 punti dalla quartultima, un’impresa oggettivamente disperata.
- ITALIA, PATRIA DELLE PICCOLE – Sarà vero che il calcio nostrano vive la dittatura bianconera dopo altri cicli di dominio e che la differenza tra le big e la parte destra della classifica sembra aumentare ad ogni torneo. Premesso che anche altrove non se la passano bene coloro che soffrono anche se il miracolo Leicester è qualcosa che sta già nei libri di storia (e di sociologia, economia, psicologia e chi più ne ha più ne metta), anche la gara di ieri ci ricorda che in serie A non si vince mai per censo o rendita di posizione. Ogni gara è una conquista e significativamente la Juve di Allegri ha lasciato 3 punti al Verona e ha pareggiato in casa con il Frosinone, l’altra già retrocessa (così come per il Napoli c’è il rimpianto di uno 0-0 a Carpi). Da indagare se in questa “difficoltà” c’è anche un po’ di presunzione di chi sa di essere superiore, legittima attesa (tanto prima o poi il gol lo faccio, è il retro-pensiero) o un’organizzazione tattica di chi sta sotto la quale non solo le goleade sono rarissime dalle nostre parti, ma può capitare di vedere un assalto come quello di ieri nella ripresa con il gol che arriva solo all’ultimo respiro e per di più su rigore. Perché da noi il Muro di Berlino è una costruzione da mettere in piedi più facile di un Lego. Mettessero un bell’allenatore a capo delle Grandi Opere l‘Italia sarebbe sicuramente un Paese diverso. Non so se migliore, ma certo irriconoscibile rispetto all’attuale.
- IL CALO DI TENSIONE – La Juve ha dovuto fare un tale sforzo nella sua rimonta che c’è da sorprendersi che una gara come quella di Verona non sia arrivata prima, durante il percorso. Nell’unico pareggio, a Bologna, si era assistito a una gara priva di grandi emozioni e di capacità sotto porta, ma giocata insistentemente sul filo dei nervi. E non è un caso che anche quello 0-0 arrivò proprio dopo il momento di massimo sforzo, la giornata dopo il sorpasso sul Napoli nello scontro diretto. Più che analisi sulle seconde linee (ieri hanno deluso tutti, titolarissimi e riserve), è in questo umano spegnere il cervello la ragione della prestazione (resto convinto che senza il rigore della fine del primo tempo la partita sarebbe finita 0-0). A tal proposito, mi ha più preoccupato il non riuscire a concretizzare la pressione della ripresa rispetto alla noia del primo tempo. All’inizio, mi sembrava un’amichevole di fine campionato. Non a caso Allegri ha anche spiegato che in settimana si sono fatti carichi di lavoro che dovranno servire per il vero appuntamento, la finale di Coppa Italia.
- NON BASTA IL TALENTO DEL SINGOLO – Ieri Dybala ha fornito una buona prestazione. Dribbling a ripetizione, rigore trasformato con freddezza, consueto aiuto alla squadra anche in posizione più arretrata. Ma la Juve non è una squadra che può “aggiustarsi” con il semplice esprimersi di un campione. Se salta l’equilibrio – se cioè per premere si creano distanze tra i reparti e non si ha la forza per colmarli – si finisce per prendere gol anche dall’ultima in classifica. E giustamente il mister ha ricordato come ci fossero già stati campanelli d’allarme con il Carpi, sullo 0-0. Avessimo giocato in Emilia la settimana scorsa, la sconfitta sarebbe arrivata prima. Lo Juventus Stadium ha anche questa funzione d’aiuto nel ritrovare se stessi nelle partite vissute senza concentrazione eccessiva.
- IL CUORE E L’ANIMA – Non si possono concedere i tre titolari del centrocampo. Marchisio, Khedira e Pogba tutti insieme sono un vuoto non colmabile. Perché sono cuore e anima, oltre a misura tattica e qualità tecnica. Se Verona deve avere un senso, lo ha per il futuro: a questo trio bisogna aggiungere un altro di pari livello. E allora si potrà iniziare la nuova stagione con la giusta fiducia verso le grandi imprese di cui si è parlato in settimana.