2018
Antognoni a CN24: «Rifiutai la Juve: nessun rimpianto. Il calcio italiano? Due mosse da cui ripartire»
Intervista esclusiva a Giancarlo Antognoni, club manager della Fiorentina
A Firenze è un intoccabile, un Dio in terra, un nome che crea allo stesso tempo commozione e rimpianto: Giancarlo Antognoni però è lì, sempre lì, a ricordare che la Fiorentina è una scelta di vita, un per sempre che non scolorisce mai.
Antognoni, Lei è il simbolo vivente dell’essere Viola, ma cos’ha di speciale Firenze? Cos’ha reso speciale il suo rapporto con la piazza? «La città in primis, poi il pubblico che è molto passionale: c’è stato questo connubio all’inizio che poi non si è mai sciolto: è stato un amore a prima vista».
A Firenze le hanno dato tanti soprannomi: L’Unico 10, Antonio, Testa Alta, Il Capitano, Il ragazzo che giocava guardando le stelle. A quale di questi è più legato? «Direi l’Unico 10: alla fine è il titolo che rimane per sempre (ride, ndr)».
Nel 1980 andò a casa del presidente della Roma, Dino Viola. Disse, «mi avrebbe regalato Piazza di Spagna»: c’era qualcosa che poteva convincerla a lasciare Firenze? «Piazza di Spagna no! Forse un attico sì! (ride, ndr) Ma ormai avevo quell’idea di rimanere per sempre a Firenze anche se ci sono state delle offerta importanti: nel ’78 con la Juve, nell’80’ con la Roma. Agnelli mi disse: «Lei è uno dei pochi che non è voluto venire alla Juve». Sono frasi importanti che ti rimangono, ma alla fine reputo quella scelta positiva. L’unico rimpianto che uno può avere è di non aver vinto niente con questa squadra. Ma rifarei tutto. Firenze non ti dimentica».
Lei ha curato per anni tutti i settori giovanili della Nazionale. Un nuovo Antognoni deve ancora nascere o dobbiamo soltanto aspettare che arrivi? «Ci sono bravi giocatori tra i ragazzi. Oggi è più difficile, ci sono molti stranieri, i giovani nelle squadre più importanti difficilmente riescono ad emergere, a parte qualcuno in qualche squadra. Insigne nel Napoli, ma poi? Nella Juve chi prendiamo? La differenza la fanno i difensori, i vari Chiellini, Barzagli, ma davanti ci sono gli stranieri. Il problema è un po’ generale: c’è una piccola crisi del talento, ma quello che c’è viene usato poco».
In chi si rivede nel calcio di oggi? «Il Totti della situazione, anche se con caratteristiche diverse, ha fatto tanti gol. Il Baggio del periodo ottimo, Del Piero: è difficile trovarli nel calcio di oggi. Questa crisi si riversa anche un po’ sulla Nazionale».
A proposito di Italia: cosa ne pensa del caos FIGC? «L’Italia deve ripartire e ci vogliono programmi ben delineati. Investire sui giovani è la cosa più importante e fare le seconde squadre: questi sono i due punti fondamentali».
Antognoni è sì sinonimo di eleganza, ma anche di schiena dritta verrebbe da dire. All’esonero di Terim, essendo molto legato al turco, decise di andarsene a sua volta. Lo rifarebbe? «Nelle mie decisioni, a volte anche sbagliate, ho sempre cercato di decidere da solo: quello è stato sempre anche il mio difetto. Quello che cercavo di fare in campo l’ho fatto anche fuori. Decidere in campo una partita, decidere a volte senza ragionare molto perché sono un istintivo. Il coraggio non mi è mai mancato».
L’uscita folle del portiere Martina non Le diede modo di aiutare la Fiorentina nel testa a testa con la Juventus per il campionato 1982, mentre un pestone contro la Polonia Le impedì di giocare la finale del Mondiale che poi avremmo vinto: potesse tornare indietro, quale ferita si risparmierebbe? «Vorrei giocare la finale del Mondiale. L’altra era peggio perché ho rischiato la vita. Però per importanza, per quello che capita ad un giocatore una volta nella vita, giocherei la Finale».
Nessuno però Le può togliere di essere il giocatore che ha indossato più volte la maglia numero 10? «Quello difficilmente me lo usurperanno, almeno quello! (ride, ndr). Anche a causa della numerazione di quest’epoca. È un record a cui sono molto legato».
Cosa fa Antognoni alla Fiorentina di oggi nei panni di club manager? «Innanzitutto rappresentare la società in Italia e in Europa. Poi essere a contatto con i giocatori e lo staff della Fiorentina. Capita di parlare, di dare consigli, provare a tranquillizzarli quando le cose vanno male».
Un po’ come quest’anno? «Abbiamo cambiato tanto, il tempo ci vuole. Ci sono tanti giocatori importanti: Saponara, Eysseric, che hanno giocato meno degli altri. Ma anche la conferma di giocatori giovani che abbiamo: Chiesa, Simeone, Veretout».
Pupo in una canzone diceva: «Guai a chi parla male di Antognoni», ma a Firenze c’è stato mai qualcuno che ha osato tanto? «L’eccezione c’è sempre, ma l’importante è che la maggior parte ne parli bene (ride, ndr)».