2009
George Weah, il diplomatico del calcio
George Manneh Oppong Ousmane Weah nasce a Monrovia, Liberia, il 1Ã?° ottobre 1966. Tutt’ora, è uno dei giocatori più noti del calcio africano, grazie anche alla vittoria del celebre Pallone d’Oro nel 1995 ed alla valanga di gol messi a segno a giro per tutta Europa, in particolare nelle fila del Milan.
Come accade a molti giovani calciatori africani, cresce in zone molto povere della sua città . Il ragazzo liberiano fa parte del gruppo etnico degli Kru, provenienti dalla Liberia sud-orientale, una delle zone più desolate di tutto il Paese africano. Al contrario di molti suoi colleghi, Weah porta avanti gli studi, ed ottiene anche la laurea in arte e amministrazione sportiva alla Parkwood University di Londra, anche se poi la scuola fu chiusa dalla Commissione per gli Affari Federali degli Stati Uniti in collaborazione con il governo britannico ed il titolo perse così di valore.
I primi calci al pallone, Weah inizia a darli in Liberia, nelle fila dell’Invincible Eleven, per poi passare al Tonnerre Yaoundè, in Camerun. Lo sbarco in Europa arriva nel 1988, quando accetta un’offerta del Monaco, con il quale nel 1991 vince una Coppa di Francia. Le quattro stagioni nel club monegasco sono proficue, e l’attaccante africano raccoglie 102 presenze e realizza ben 47 reti, non male per un giocatore appena sbarcato nel calcio che conta.
Le sue buone prestazioni gli valgono il trasferimento al Paris Saint-Germain, dove Weah rimane per le seguenti tre stagioni, in cui vince il titolo della Ligue 1, due Coppe di Francia ed una Coppa di lega Francese. George ha la caratteristica di poter risolvere una partita grazie ad una delle sue zampate da leone ed alla sua incredibile velocità e potenza fisica.Ã? Durante l’esperienza capitolina il liberiano si conferma un giocatore di livello, e con altre 32 reti in 96 apparizioni, attira su di sè le attenzioni di alcuni top-club europei.
Tra questi c’è il Milan di Silvio Berlusconi, che non esita un secondo nel proporre un offerta al club parigino e si aggiudica l’esperto centravanti. Il preisdente rossonero è incantato dalla completezza di questo giocatore, il quale riesce ad abbinare tutte le caratteristiche del centravanti modello: altruista, potente, veloce e forte di testa.
All’arrivo a San Siro Weah ha ormai 29 anni e si appresta a giocare i migliori anni della sua carriera in uno dei club più prestigiosi del mondo. Le sue prime parole da rossonero sono incoraggianti, ed alla sua presentazione fissa il suo obiettivo: “E’ la prima volta che metto piede in una sala così importante. Spero che il numero di queste Coppe aumenti, magari con il mio contributo. Io sono un giocatore africano e sono molto ambizioso. Non ho scelto l’Italia solo per i soldi. Io rappresento l’Africa. Vorrei riuscire a fare come Abedi Pelè , vorrei sfondare nel vostro campionato”. L’esordio in Serie A avviene il 27 agosto del 1995, durante un Padova – Milan terminato 1-2, in cui George segna la sua prima rete a tinte tricolore dopo appena 6′ di gioco, con un colpo di testa potente e preciso, e poi crea la seconda rete con uno splendido assist per Baresi. Nel mese di dicembre, Weah vince il Pallone d’Oro (la prima edizione in cui il premio non viene più assegnato solamente ai calciatori di origini europee) ed il FIFA World Player. Il primo anno in rossonero non è sontuoso dal punto di vista delle realizzazioni, ma l’attaccante è determinante nella conquista dello scudetto (il 15Ã?° della storia del Milan). La presenza di Weah al centro dell’attacco è garanzia di risultato, ed è un punto di riferimento per tutta la squadra. Tra i compagni diventa grande amico di Marco Simone, che simpaticamente lo ribattezza “Giorgio”.
Dopo una prima stagione costituita da svariati successi, personali ed a livello di club, il giocatore ha un’involuzione improvvisa e non dà più l’impressione di essere incisivo. Tuttavia, è proprio nel periodo più buio che Weah segna forse il suo gol più bello: nel 1996-1997 a San Siro contro il Verona, il liberiano recupera palla in prossimità della propria area e percorre tutto il campo, involandosi verso la porta avversaria, superando ogni avversario, incluso il portiere, e deposidando la palla in rete dopo una sgroppata di circa 90 metri; una rete che verrà sempre ricordata come il “coast to coast”. Nonostante le stagioni deludenti, i tifosi rossoneri considerano il centravanti ex PSG un idolo assoluto, grazie anche alla sua personalità “d’oro” ed alla sua immensa generosità .
Dopo due anni in chiaroscuro, nel 1998-1999 per Weah torna la luce, e l’africano è ancora determinante per la vittoria del secondo scudetto in quattro anni del Milan. La sua esperienza in rossonero termina a gennaio del 2000, quando il calciatore decide di passare al Chelsea all’età di 34 anni.
Il periodo a Stamford Bridge è l’ultimo periodo da calciatore “vero” per l’attaccante, che con i Blues realizza 4 reti in 11 presenze e conquista una Coppa d’Inghilterra.
Dopo la breve parentesi di sei mesi a Londra, si trasferisce al Manchester City, che ai tempi non valeva certo quanto oggi. Tuttavia, non è una stagione memorabile per Weah, che capisce di essere al termine della carriera.
Decide così di giocare l’ultima sua stagione in un campionato competitivo nella Ligue 1, precisamente nell’Olympique di Marsiglia, dove riesce a mettere a segno 5 reti in 13 presenze.
L’ultima esperienza nel calcio giocato per il liberiano è nelle fila dell’Al-Jazira, squadra degli Emirati Arabi Uniti, dove Weah chiude la carriera da professionista.
Come dimenticare le sue scarpe rosso sgargiante, o la tipica frase all’inizio ed al termine di ogni intervista: “Ciao a tutti, belli e brutti”. Weah è certamente un signore del calcio, non solo per la sua bravura e la sua simpatia, ma anche grazie ai suoi modi candidi e generosi, soprattutto verso il suo Paese. Weah, infatti, è sempre rimasto molto legato alla Liberia e gran parte dei suoi ricavi li donava per la costruzione di nuove infrastrutture e per promuovere lo sport del calcio in Africa, oltre che per finanziarie la nazionale della Liberia.
Weah è sempre rimasto molto legato alle proprie origini ed uno dei suoi rammarichi maggiori è quello di non aver potuto giocare un Mondiale con la nazionale liberiana. Tuttavia, George è sempre stato il capitano della selezione africana che, senza il suo apporto economico notevole, non avrebbe mai potuto giocare alcuna competizione. Il suo legame con il proprio Paese è così forte che, quando in Liberia fu organizzata la prima Coppa d’Africa, anche un uomo forte come Weah si sciolse in lacrime.
Curiosità : nella nazionale, essendo l’uomo più dotato a livello tecnico, ha giocato nella posizione di “libero”.
Il suo desiderio è sempre rimasto quello di migliorare la situazione della Liberia, così da poterla rendere un Paese all’avanguardia, per quanto questo sia possibile.
Al termine dell’attività agonistica decide quindi di dedicarsi alla politica in Liberia. L’obiettivo di Weah è liberare la nazione africana dalla violenza e dall’odio che sono presenti nonostante la guerra civile sia finita da tempo, ed una delle maniere per farlo è attraverso il gioco del calcio: “Quello che accade in Liberia non è una guerra. E’ un suicidio. Un non senso. Noi che siamo l’orgoglio della nazione, che siamo conosciuti in tutto il mondo, abbiamo il dovere di lottare per la pace – dice Weah – Ho spesso sentito dire che il calcio è bassa cultura, ma molto più della pittura, dei libri, dei poemi, della musica riesce a regalare gioia alle persone che soffrono”.
Nel novembre del 2004, l’ex giocatore del Milan di candida alle elezioni presidenziali liberiane dell’11 ottobre 2005, ed il 13 agosto 2005 la sua candidatura viene ufficializzata con il Cdc (Congresso per la Democrazia e il Cambiamento). Weah chiese molti consigli a Silvio Berlusconi per quanto concerne la carriera politica, ed al primo turno, risulta come candidato più votato con il 28,3% dei voti, ma al ballottaggio viene poi sconfitto dall’economista Ellen Johnson-Sirleaf.
Tutt’ora, Weah si dedica per il bene della Liberia, con la viva speranza che un giorno il “suo” popolo possa condividere quella serenità che lo ha sempre contraddistinto.