Flavio Insinna: «Roma, cacciare DE ROSSI? Una vergogna»
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Flavio Insinna: «Roma, cacciare DE ROSSI è stata una vergogna, sento pure che potrebbe tornare… JURIC è una PERSONA SOLA, che può fare in queste condizioni?»

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De Rossi

Flavio Insinna ha parlato della decisione della società della Roma di esonerare Daniele De Rossi

«Mandare via De Rossi è stata una vergogna. Mi dispiace molto perché è una persona seria che ama la Roma. Non c’è stato rispetto»: durante la conferenza stampa di presentazione del suo nuovo programma tv, Flavio Insinna non ha avuto mezzi termini nel rispondere a una domanda sulla squadra per la quale fa il tifo. Oggi approfondisce i concetti in un’intervista a La Gazzetta dello Sport, dove parla anche delle Paralimpiadi.

L’ESONERO«Io non sono uno che si è alzato una mattina e ha detto: “Sono della Roma”, ho alle spalle chilometri e chilometri di trasferte… Noi abbiamo una storia, con tante cose belle e tantissime meno belle. E abbiamo dei simboli. La società ne ha chiamato uno, De Rossi appunto, perché soltanto lui avrebbe potuto sostituire un’icona come Mourinho. E poi che fa? Lo manda via di mercoledì, licenziato con la stessa facilità con cui si cambia una piantina sul terrazzo? E ora c’è già chi pensa di aver sbagliato. In radio ho sentito dire che potrebbe tornare…».

PIU’ DELUSO DALLA DIRIGENZA O DISPIACIUTO PER DE ROSSI «Entrambe. Quel ragazzo per noi significa tantissimo: è per bene, schietto e onesto. Invece è stato usato come parafulmine e mandato via così dopo quattro partite. Uno ci resta male, molto male. Per quanto riguarda la società oggi guardo la mia squadra e penso: “Che si fa?”. Sono molto preoccupato. É andata via anche la signora (l’ex Ceo Lina Souloukou, ndr), chi c’è? Chi guida davvero questo club? I ragazzi hanno bisogno di sentirsi protetti. Juric farà quello che può fare una persona da sola, ma quando vinci lo fai perché funziona tutto, da chi apre il cancello a te che segni. Così si sbanda».

DA DOVE NASCE LA PASSIONE PER LA ROMA – «La mia prima partita è stata un Roma-Inter con invasione di campo, con l’arbitro Michelotti che all’ultimo secondo dà il rigore all’Inter che vince 2-1 (poi tramutato in 0-2 dal Giudice sportivo, ndr). Era il 17 dicembre 1972, avevo 7 anni. Mi portò mio padre e io rimasi colpito dai colori della Curva. Oggi come allora la Roma è la prima cosa non seria a cui penso: prima vengono la guerra, la fame nel mondo, la disoccupazione, le scuole, tutti i temi della mia vita vera da volontario. Subito sotto c’è la Roma, la mia grande passione. La trasferta che non dimentico? Istanbul, Galatasary-Roma di Champions 2001-02, con gli amici di sempre e un’atmosfera splendida che oggi nel mondo non c’è più».

L’AUTOIRONIA DI RIGIVAN AIUTA – «Certo, ma tutti i ragazzi che seguo sono così, si ride a crepapelle. Cercare parole per addolcire la cosa, tipo “bambino speciale” o “madre coraggio”, è inutile, conta quello che facciamo per gli altri. Il problema resta negli occhi di chi guarda».