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Buon compleanno a… Roberto Firmino

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Oggi è il compleanno di Roberto Firmino, l’attaccante ex Liverpool in estate si è trasferito in Arabia Saudita

Oggi Roberto Firmino compie 32 anni. Può darsi che in un futuro, non necessariamente a lunga distanza, il suo nome rientrerà tra quelli dei giocatori maggiormente rappresentativi dell’epoca che stiamo vivendo. Quella che, in questi mesi, abbiamo iniziato a conoscere e definire, riassunta così da Pierluigi Pardo su La Gazzetta dello Sport: «La novità dell’estate è poderosa: l’Arabia Saudita non cerca più solo figurine da collezione, ma calciatori funzionali, il meglio del calcio europeo: Brozovic e Milinkovic, Koulibaly e Kanté, Ruben Neves e Firmino».

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L’elenco, se lo osservate con attenzione pensando ai profili tecnici dei giocatori, è piuttosto interessante. Perché, ognuno a suo modo, ha in sé caratteristiche particolari interpretazione del ruolo. E qui, arriviamo al brasiliano, che spazza via con la leggerezza dei suoi movimenti la tradizione della punta centrale e va a proporsi come l’ossimoro più intrigante del calcio da un po’ di tempo a questa parte: il vero falso nueve. Con questa definizione spesso si finisce per pensare al famoso principio della fine del classico centravanti in ragione del fatto che non è più un uomo a rivestire quei compiti, ma è dislocato in uno spazio da riempire. Nel tridente congegnato nel Liverpool, Firmino unisce la capacità di fare gol, di cesellarli con tecnica raffinata e di creare le premesse affinché quella benedetta porzione di campo dalla quale nascono i maggiori pericoli venga attraversata da compagni ispirati dalle sue idee. Ci sono una serie di gare contro il Tottenham di Mourinho, costruttore di bunker a prova d’assalto, nelle quali l’attaccante verde-oro (fino al Qatar, almeno, dal quale è stato escluso), è stato semplicemente sublime.

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Firmino segnava e si metteva metodicamente per tutta la partita a proporre una serie di cambi di posizione decisivi nello scompaginare le linee degli Spurs. Attirava spesso fuori posizione i mediani e i difensori del Tottenham e gli ospiti che non riuscivano a leggere i suoi smarcamenti. Il brasiliano è un attaccante molto particolare, abilissimo nel venire incontro e creare spazi per i compagni: tant’è che quello del Liverpool è sembrato spesso un 4-3-1-2, con Firmino regista offensivo e Salah e Mané che stringono verso il centro del campo. In più, in fase di non possesso, lo si vedeva lavorare in pressione, tanto che in Premier nessuno come lui in attacco vinceva più contrasti.

Eppure, si sa, gli attaccanti vengono definiti dalle reti che mettono nel carniere. Lui non ha una media da prima punta, anche se negli 8 anni in Reds solo in una stagione non è andato in doppia cifra. Ma è significativo come materiale d’indagine proprio la differenza tra la sua percezione e quella di un allenatore come Jurgen Klopp. Lo ha raccontato il tecnico tedesco nel 2020, al termine di un match contro il Tottenham risolto dal suo giocatore: «Quando sono andato da Firmino ad abbracciarlo dopo la gara lui si è fermato perché prima voleva parlarmi e mi ha detto: “So che avrei dovuto segnare più gol”. Non era assolutamente questo quello che volevo dirgli! Ma è vero, anche se non sapevo quando. La primissima opportunità in avvio è stata eccezionale ma in qualche modo ha tirato sul portiere e poi Oxlade ha preso il palo. Firmino è un giocatore superbo, non è la prima volta che lo dico e spero non sia l’ultima. Davvero impressionante. Dopo la partita abbiamo fatto un po’ di analisi e discusso su cosa si poteva fare meglio». E se questa è una valutazione a caldo, conta ancora di più l’attestato fornito dall’allenatore quando, un po’ di mesi fa, si è iniziata a ventilare l’ipotesi che il rapporto col club si concludesse: «Bobby è fondamentale per noi, è il cuore e l’anima di questa squadra. Il modo in cui abbiamo giocato negli ultimi anni è stato possibile solo grazie a Bobby».

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Lo vogliamo dire, a prescindere dal club che si è fatto avanti e dai momenti scelti in questi anni: sarebbe stato bellissimo vederlo in Italia. Anche perché, quando è venuto da avversario, ha lasciato segni della sua classe a danno di chi ha provato a fermarlo.

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