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Buon compleanno a… Luis Figo
Oggi è il compleanno di Luis Figo e nella sua carriera è passato anche dall’Italia con la maglia dell’Inter: la sua storia
Oggi Luis Figo compie 51 anni. In questi giorni, nei quali è stato per l’ennesima volta assegnato il Pallone d’Oro a Lionel Messi, il suo nome è tornato in auge. Con lui, vincitore del premio nel 2000, si è inaugurato il nuovo millennio, premiando un giocatore che in quella stagione non aveva conquistato nulla con il club o con la propria nazionale, pur avendo il Portogallo disputato un ottimo Europeo. Ma al di là dell’autodafé di Zinedine Zidane, reo di essersi buttato via da favorito con una testata in Juventus-Amburgo che fece il giro d’Europa, quello fu un riconoscimento alla bellezza stilistica del giocatore portoghese, alla sua classe, capace di emergere in un calcio che di esponenti con quelle caratteristiche ne aveva diversi, almeno secondo il suo parere.
Figo sicuro: «Ai miei tempi era più difficile vincere il Pallone d’Oro»
Se volessimo usare un’immagine più letteraria, confacente allo status del calciatore, si potrebbero usare due considerazioni prese in prestito da quel thesaurus infinito che è Jorge Valdano, calciatore-dirigente-scrittore che di lui scrisse: «Figo ha trasformato lo straordinario in routine» (e già qui si aprirebbe la definizione del fuoriclasse nel calcio contemporaneo, chiamato a un surplus produttivo). E poi, l’esaltazione della sua utilità: «Figo è importante sempre: quando si attacca perché è una minaccia costante, quando si difende perché è solidale».
Ci vorrebbe un algoritmo alquanto evoluto per trovare giocatori capaci di coniugare l’una e l’altra cosa. E lo stesso Luis si è messo d’impegno nell’impresa, anche se non esiste un App che possa tracciare il carattere di un giocatore per come va a costruirsi una delle cose più importanti nella sua biografia.
É infatti inevitabile, quando si parla di lui, ricordare un momento che certamente ha cambiato la sua vita e, probabilmente, anche quella del calcio. Ci vuole coraggio e una bella dose d’imperturbabilità nel giocare per 5 anni al Barcellona, giurare amore eterno – «Do la mia parola d’onore: desidero rimanere al Barcellona anche guadagnando meno» – e cedere poi alle lusinghe degli odiati madridisti proprio in quel 2000. «Al Barcellona abbiamo rubato il cuore», afferma Florentino Perez: un furto ben pagato, per la verità, il passaggio da blaugrana a Galactico vale la somma record di 140 miliardi di lire, nel costo c’è anche il prezzo di un rancore inestinguibile. Tanto che ad anni ed anni di distanza, quando nel 2015 Barcellona e Juventus finaliste di Champions League sono chiamate a disputare il corrispondente match delle vecchie glorie, i catalani si mettono di traverso e non accettano che l’Uefa indichi il suo nome tra i partecipanti. Fa meno rumore di una testa di maiale gettato in campo, certo, ma è alquanto significativo di come certe acquistino un peso simbolico che il tempo sembra ingigantire e non il contrario come si potrebbe ipotizzare.
Peraltro, nel passaggio a Madrid, Figo ci ha guadagnato la vittoria in Champions League e in Coppa Intercontinentale che ancora mancavano. Per poi concludere la sua splendida carriera all’Inter, con una scelta spiegata cosi ad As anni dopo: «Avrei voluto lasciare in un altro modo ma non giocavo e so il motivo. Da quel momento ho voluto cercare la mia felicità e non i problemi, perché potevo restare tranquillo, senza giocare e ricevendo lo stipendio. Io volevo continuare a giocare, non ero finito, e volevo dimostrarlo. Avevamo battuto l’Albacete prima del Clasico ma rimasi fuori dalle partitelle, non giocai contro il Barça e in seguito giocavo poco, entravo e uscivo. Non mi sentivo utile e ho deciso di andare via».
Oggi Luis Figo ha portato la sua aurea di eleganza e stile nel mondo che quasi per logica non poteva che riceverla: la moda. Di calcio non parla tantissimo, anche se quando lo fa non sta certo ad usare la diplomazia. É come se si sentisse investito di una missione: proteggere il talento, ancor più se c’è in ballo un po’ di onore nazionale. Per questo se l’è presa tantissimo quando l’anno scorso ha visto il Portogallo uscire in Qatar con un Cristiano Ronaldo confinato ai margini nella decisiva gara col Marocco: «Questa sconfitta è responsabilità dell’allenatore. Non si può pensare di vincere un Mondiale con un giocatore come Cristiano seduto in panchina. Lasciare Cristiano Ronaldo in panchina è stato un errore». Sei anni prima, da esperto in materia, fu tra i pochi a ritenere possibile un’ipotesi che avrebbe avuto del clamoroso, molto di più di quel che aveva vissuto lui: «Cristiano Ronaldo al Barcellona? Beh, siamo in libero mercato. Se c’è una clausola rescissoria, per me tutto potrebbe succedere».