Ferdinando Valletti: il mediano di Gusen - Calcio News 24
Connettiti con noi

2016

Ferdinando Valletti: il mediano di Gusen

Avatar di Redazione CalcioNews24

Pubblicato

su

valletti gusen ceta giornata memoria

La storia di Ferdinando Valletti: ex Verona e Milan sopravvissuto a Mauthausen e Gusen

I57633, sta scritto sul vestito a righe. Il bianco – sudicio, sgualcito, sdrucito – si lega con il nero. Fino a pochi mesi prima c’era il rosso al posto del bianco, c’erano dei pantalocini corti, c’era allegria. Il numero era un numero e basta, senza lettere e scritto dietro, sulla schiena. Il fumo che sale lento in alto non è quello dei torracchioni fuori Milano, è un fumo che sa ugualmente di fatica ma una fatica diversa, ricolma di dolore. Il cielo è grigio, quasi nero, si confondo con l’atmosfera circostante. Tutto tetro, intriso da un sentore di morte difficile da spiegare. A Gusen è sempre così: le mura che fanno da confine, che dividono dal verde, e sopra il cielo, il cielo sporco. Ferdinando Valletti si guarda sul petto la scritta I57633 e ripensa alla moglie che ha lasciato poco più di un anno prima, mentre in Centrale a Milano lui saliva su un treno maledetto. Si ricorda la pancia della moglie, straordinariamente gonfia. Lo hanno preso che stava per diventare padre. Rivede gli occhi della compagna, lo sguardo triste mentre il treno parte verso un destino crudele, ma non per forza inesorabile. Lo stesso treno poi arriva in questo posto lugubre, Mauthausen si chiamava. Ne aveva sentito parlare, ne aveva avuto paura. Lo avevano preso mentre manifestava, mentre la paura la guardava in faccia. Ferdinando Valletti nemmeno doveva essere un metalmeccanico, se non fosse stato per quel menisco. Lui doveva fare il calciatore.

IL CALCIO – A Mauthausen Valletti ci entra per colpa di quel 1 marzo 1944. All’epoca ha poco più di vent’anni, gioca a pallone e non solo, per mantenersi una volta terminata l’avventura calcistica studia alle serali e ottiene il diploma di perito industriale. Nato a Verona, proprio nell’Hellas Valletti ha mosso i primi passi nel mondo del pallone: fa il mediano, perché è uno più di lotta che di governo. Sa contrastare gli avversari, ha grinta e corsa, oltre a una discreta tecnica che lo porta fino alla vicina Lombardia. Prima il Seregno e poi la grande chiamata del Milan. I rossoneri non si possono rifiutare, è un’offerta che può valere una vita, ma con il Milan fa più che altro la riserva. A dire il vero nel 1942-43 il Milan nemmeno si chiama Milan: sul finire degli anni Trenta il Duce non è troppo favorevole agli anglicismi, va aggiunta una lettera e quindi l’AC Milan è Associazione Calcio Milano, nome che mantiene per sei stagioni. Si gioca all’Arena Civica ma Valletti ci mette piede pochissime volte, prima di tutto è una riserva – e prova a toglierlo il posto a gente come Antonini o Rosellini, impossibile – e poi, anche se le potenzialità le avrebbe, Valletti è condannato a soffrire per una lesione al menisco che lo tormenta. Poco male, ha più tempo per studiare e per lavorare. Fino al 1 marzo 1944, quando tutto cambia.

LO SCIOPERO – Quel giorno Valletti non ha ancora ventidue anni, all’Alfa Romeo c’è uno sciopero. In Italia nel Ventennio lo sciopero è una delle maggiori forme di protesta, specialmente in quel momento in cui ci sono i primi sentori di una possibile caduta del regime. La guerra, quella che doveva essere una guerra lampo da vincere e andare a sedersi con le altre potenze per spartirsi il mondo, si sta protraendo più del dovuto. In Italia ci sono anche i tedeschi, la paura regna sovrana. Girano le Schutz-staffeln, al primo errore sono pronte a farla pagare caro. Da tempo c’è gente che viene mandata al confino, oppure peggio: si parla di lager, campi di concentramento, campi di prigionia. Valletti è giovane, forse è incosciente. Allo sciopero dell’Alfa Romeo ci va, non ha un ruolo di primo piano ma vuole solidarizzare con i lavoratori, quindi fa volantinaggio. Le SS interrompono lo sciopero. Valletti viene preso e portato a San Vittore ma la permanenza nel carcere milanese è brevissima: al binario numero 21 della stazione di Milano Centrale c’è un treno che va in Austria, Valletti deve salirci e salutare la moglie incinta. Finisce a Mauthausen e con lui c’è un altro milanese che passerà alla storia, si chiama Aldo Carpi ed è un po’ più famoso di Valletti: fa il pittore e ha quasi quarant’anni più di Ferdinando, non ce la fa a resistere in quel mattatoio di anime e corpi, Valletti lo aiuta spesso e tra i due nasce un’amicizia che non è un’amicizia normale, è qualcosa che non si può spiegare. Si trovano spesso assieme a contare quei centottantasei gradini, la Scala della Morte. Si sorreggono, fisicamente e spiritualmente. Entrambi poi vengono spostati nel vicino campo di Gusen.

IL PROVINO – Ed è proprio a Gusen che cambia tutto, sempre una mattina, impossibile da capire se sia primavera o autunno, il cielo è sempre oscurato dal fumo delle ciminiere. Valletti fa parte della squadra cemento, deve lavorare la pietra e costruire gallerie dove le forze armate tedesche hanno intenzione di nascondere fabbriche belliche. Come faccia ad andare avanti Valletti non ci si spiega, nemmeno il Professor Carpi riesce a capire come un ragazzo del genere possa conservare vigore e voglia di vivere in un momento come quello. Un giorno però gli aguzzini organizzano una partita di calcio. Corre voce che I57633 sappia giocare bene a pallone, e fatto sta che manca pure un uomo per potere essere in numero. Una circostanza sciocca, una quisquilia che rende ancor più idiota la crudeltà dei carcerieri: Valletti viene chiamato a giocare, anche se del mediano di qualche mese prima rimane solamente un ragazzo spossato, dal fisico che a malapena arriva a quaranta chili. Ma Valletti corre, sul campo ha la sua possibilità di prendersi una rivincita e lo fa con onore e con orgoglio, come quando distribuiva volantini e si schierava coi lavoratori. Gli aguzzini rimangono strabiliati, figurati se in vita loro avevano visto qualcuno giocare così bene e figurati allora se lo avessero visto quando era in forma. Neppure il menisco ferma Valletti quel giorno. Decidono di premiarlo, lo mandano a lavorare in cucina. La permanenza di Valletti a Gusen prende, per la prima volta, una piega positiva.

LA FINE – L’ex Verona, Seregno e Milan passa da cavatore a aiuto cuoco. Quando è in cucina non si comporta ovviamente da privilegiato, anche se non ha più a che fare con quelle gallerie buie e lorde, non dimentica la sua indole altruista. E così, come in campo correva a destra e a manca per sostenere e coprire la squadra sempre pronto a mettere una pezza ovunque, anche a Gusen aiuta i compagni e sfrutta il suo lavoro in cucina per dare di nascosto il cibo agli altri. Ha un cuore d’oro, si sacrifica fuori così come faceva in campo. Di sicuro salva molte vite dall’inedia. Poi, il 5 maggio 1945, gli alleati liberano sia Mauthausen che Gusen, due degli ultimi lager rimasti. Valletti può tornare a Milano, può vedere la moglie e quella figlia che ancora non ha avuto modo di accarezzare, di prendere in collo, di sentir piangere. Arriva a casa su un camion, tra due ali di folla. Stavolta sì che sa di essere un privilegiato perché in tanti – milioni, saprà poi – non ce l’hanno fatta a raccontare gli orrori subiti durante la guerra. Ha solamente ventiquattro anni, ma ha già vissuto tre vite: quella del calciatore osteggiato da un menisco malefico, quella di giovane metalmeccanico ostinato e infine quella, più triste e completa, di deportato. Ne vivrà altre dal giorno del suo ritorno in poi perché tornerà a lavorare alla Alfa Romeo, diventerà Maestro del lavoro, diventerà insegnante e collaborerà con ANED e ANPI affinché quei giorni a Mauthausen e Gusen non siano mai dimenticati. Morirà nel 2007, a 86 anni, portandosi dentro cicatrici che ancora oggi non hanno una spiegazione.

2016

Premier League, 19^ giornata: Chelsea, 13^ vittoria di fila

Pubblicato

su

diego costa chelsea matic
Continua a leggere

2016

Koeman: «Dimostrato grande carattere contro l’Hull»

Pubblicato

su

Continua a leggere