2015
Evra: «Vivere la Juventus è stato uno shock»
Il terzino si è raccontato a Sky Sport
Un impatto discreto, quello avuto da Patrice Evra con il nostro campionato. Il francese è arrivato l’estate scorsa alla Juventus, ed ha subito conquistato il posto da titolare, complice anche l’infortunio di Asamoah. Adesso Evra si è raccontato ai microfoni di Sky Sport, in una lunga intervista. Ecco quanto evidenziato da noi: «Nel quartiere in cui sono cresciuto il calcio ha un’importanza fondamentale, perchè se non sai giocare a calcio non hai altro da fare. Noi facevamo solo questo, anche dopo la scuola. Il calcio mi ha dato molto: mio padre e mia madre si occupavano bene di me, ma avevo un fratello e non era facile. Però il calcio mi ha salvato, il mio quartiere era difficile. Quando ho avuto la possibilità di andare in Italia per me era come un sogno, anche adesso è motivo di orgoglio. Marsala mi ha aperto le braccia e rimarrà per sempre una famiglia».
CARRIERA – Evra ha ripercorso le tappe della sua carriera: «Un percorso molto strano, non sono mai andato in un centro di formazione: dal quartiere sono arrivato al Manchester, alla Nazionale e adesso alla Juventus. Tanta gente si sorprende, perchè giocando tra le macchine sono il giocatore di oggi. Tutto è stato difficile al mio arrivo in Italia: avevo solo 17 anni, senza cellulare. A Milano mi sono perso, un signore mi ha visto triste e si è avvicinato per aiutarmi. Manchester la conoscevo da CAntona, ci ho messo solo due giorni per visitare lo stadio. Lì ho avuto la sensazione di fare un lavoro nuovo, anche se avevo giocato con la Nazionale e fatto la finale di Champions, lì ero come un bambino che doveva imparare tutto di nuovo. All’inizio non ho giocato molto e non ho fatto i mondiali».
JUVENTUS – Infine, sulla Juventus: «Nel calcio si impara sempre. Da fuori conoscevo un po’ la Juventus, ma viverla dall’interno è stato uno shock. La preparazione fisica la conosceva, come aveva detto Zidane, sapevo tutto, ma pensavo fosse una leggenda, e invece no. Allegri mi chiedeva ogni giorno come stessi, io rispondevo che ero ancora vivo, ma in verità non mi ero mai allenato così. In Italia il calcio è diverso, la tattica è fondamentale. Già a 17 anni pensavo che le squadre italiani fossero ben preparate».