2016

Il Portogallo vince, le altre non hanno voluto

Pubblicato

su

Il bilancio di EURO 2016: Francia superiore in finale, ma alla fine…

Ha vinto il Portogallo, W il Portogallo. Bisogna partire da qui, dalla possibilità che trionfi anche una squadra che arriva terza nel girone e in ben tre gare su quattro a eliminazione diretta non riesce a prevalere nei 90 minuti. Però, grazie anche a un’organizzazione difensiva puntuale e soprattutto in crescita, riesce a centrare il suo primo storico successo, cicatrizzando così definitivamente la ferita aperta con la finale del 2004 e la clamorosa sconfitta contro la Grecia. Il bello dell’Europeo è questo, nel fattore sorpresa, col paradosso che i lusitani accreditati e non poco a inizio manifestazione (in fondo erano teste di serie e gli avversari erano malleabili) sono stati progressivamente snobbati gara dopo gara. Una sottovalutazione legittima, lo stesso Cristiano Ronaldo non è sembrato al suo meglio, ma gli acuti disseminati qua e là e soprattutto una forte presa di coscienza delle proprie possibilità hanno fatto il resto. Anche nell’ultimo atto ha funzionato questo realismo all’ennesima potenza, puro e concreto. Si è verificata una speciale misurazione dei livelli di gioco. Per occasioni create, la Francia è stata decisamente superiore e il palo di Gignac non è da meno di quello storico di Rensenbrink che impedì all’Olanda di sconfiggere l’Argentina sul finire della finale dei Mondiali 1978. Ma per tutti i 120 minuti, la scarsa velocità dei Bleus ha regalato l’impressione di una squadra che marciava a marce ridotte, al di sotto del proprio standard, quello mostrato implacabilmente nei finali vincenti delle prime gare, nell’impetuoso approccio con l’Islanda o nel vigorosamente aggressivo inizio ripresa della semifinale con i tedeschi. Questo limite la Francia lo ha avvertito e si è ammalata di un’impotenza, oltre che di un ordine tattico sterile, Pogba così indietro è stato un suicidio. Invece il Portogallo, complessivamente inferiore, ha comunque toccato un limite in alto, facendosi forza del fatto che tutta la sua forza la stava esprimendo. E anche qualcosa di più, come è apparso evidente dall’emergere di leadership improvvise nei tempi supplementari, con Eder bravissimo nel gol e non solo (ha preso ben 5 falli, dimostrandosi un vero punto di riferimento strategico per i compagni, come forse lo stesso Cristiano Ronaldo non sarebbe riuscito ad essere date caratteristiche fisiche molto diverse). Con un’equazione matematica, la Francia stava producendo 70, il Portogallo molto meno. Ma per i padroni di casa, il prodotto interno lordo calcistico era una dichiarazione di mancanza, per Rui Patricio e compagni era moltissimo ed ha funzionato come carburante una volta passati in vantaggio, tanto che non ci sono stati più pericoli nella loro area e la sensazione di padronanza del campo è stata netta, limpida, mai messa in discussione.

PORTOGALLO CAMPIONE D’EUROPA: L’OUTSIDER

Nel calcio contemporaneo, è raro – per non dire impossibile – che a termine corsa non prevalga il migliore. Magari ce la fa penando, ma è un fatto che le ultime edizioni di Champions League abbiano visto alzare la coppa la squadra più forte, anche se l’outsider di turno (Atletico Madrid 2 volte, Borussia Dortmund o Juventus) è andata vicino a sfiorare la grande impresa. L’Europeo 2016 arriva dopo due edizioni dal segno molto più evidente, vinte dalla Spagna e dalla sua egemonia tecnica e culturale. La Germania non è riuscita a sostituirla compiutamente, ricordandoci che esiste sempre un peso specifico degli episodi, si è in parte suicidata con la Francia per errori propri, anche se è legittimo considerarla sempre una nazionale che riesce a esprimere un’identità forte (qualcuno può legittimamente escluderla oggi dal novero delle favorite al prossimo Mondiale?). Quel che è prevalso è il predominio del tatticismo, si è visto che tutti cercano di manovrare da dietro, sanno proporre un elevato livello di organizzazione difensiva. Ne esce fuori un calcio dove si rischia molto poco in nome della compattezza propria, della scarsa propensione al coraggio altrui, della mancanza di energie che contraddistinguono sempre i tornei a fine stagione. Il campo sembra sempre più ridotto e nessuno vuole perdere il possesso del pallone anche quando non è una situazione che può creare particolari problemi. Più che vincere – con ciò che questo comporta in termini di controllo del tempo e quindi di ricerca del gol e del vantaggio – si cerca di regalare l’impressione di una superiorità che prescinde dal risultato in essere. Come se a lungo andare fosse quasi meccanico che tanto volume di gioco, tanta sicurezza nel palleggio, tanta precisione nell’ordine, producessero per conseguenza effetti sul punteggio. Di questa “supponenza” hanno patito principalmente la Germania, la Spagna e la Croazia, incapaci di variare spartito appena si è incrinata una certezza. Tutto sommato, meglio così. Perché sarebbe un calcio insopportabile quello dove si vince perché le grandi manifestano una loro presunzione, dimenticandosi che sono i gol a fare la differenza e ogni concezione che lo dimentica va abbandonata. Per il bene di tutti.

Exit mobile version