2020
Eto’o: «Sono nato e morirò interista. Vi racconto il mio Camp Nou da terzino…»
Samuel Eto’o ha parlato alla Gazzetta dello Sport raccontando gli anni passati all’Inter e svelando qualche retroscena
Samuel Eto’o ha parlato alla Gazzetta dello Sport raccontando gli anni passati all’Inter e svelando qualche retroscena. Le parole dell’attaccante camerunense.
INTERISTA – «Se sei interista una volta, morirai interista. Non c’è un motivo e questa cosa non può cambiare: è così e basta. Mourinho mi convinse in modo semplice: mi mandò la maglia numero 9 dell’Inter e mi scrisse è tua, ti aspetta».
INGAGGIO – «C’era una differenza importante tra l’ingaggio offerto dall’Inter e quello che chiedevo io. Allora, al tavolo ho stupito tutti. Ho detto ‘trasformiamo la parte mancante in bonus di squadra, se vinciamo la Champions entro 2 anni’. 10 mesi dopo eravamo campioni d’Europa».
PRIMO CONTATTO CON L’INTER – «Fu con quello che sarebbe diventato mio fratello Marco. La storia del suo sms si conosce: un certo Materazzi mi scrive “Se vieni tu all’Inter vinciamo tutto”, non ho quel numero in rubrica e chiedo ad Albertini: “E’ suo?”. Era il suo. Una cosa del genere non mi era mai successa in tutta la carriera: quel messaggio ha avuto un grande peso nella mia scelta. E ha fatto nascere una grande amicizia».
MORATTI – «Il presidente mi chiamò poco dopo e in un francese perfetto mi disse: “Eto’o, si fidi: lei all’Inter si troverà benissimo, diventerà come casa sua”. Aveva ragione».
TERZINO A BARCELLONA – «Terzino puro solo a Barcellona, ma quella fu un’emergenza. E comunque ciò che pensai quella sera in realtà fu il mio pensiero di tutto l’anno. Quando fu espulso Thiago Motta, Mourinho chiamò me e Zanetti, ci spiegò come metterci in campo: non avevo neanche il tempo di riflettere su quanto avrei dovuto correre stando sulla fascia, mi dissi solo “Dai tutto e vedremo alla fine”. E alla fine eravamo in finale».
GOL A LONDRA – «Di quella notte ricorderò per sempre due cose. Il discorso di Mourinho prima della partita: “Nessuna squadra che ho allenato può battermi”. Entrammo in campo con una determinazione diversa: non giocAvamo solo per noi, ma anche per l’allenatore. E poi lo stop che feci prima di segnare, la palla scendeva e mi dissi: “Se lo fai bene, poi segni facile”. Ce l’ho ancora qui negli occhi, quel controllo».
DISCORSO IN FINALE – «Non fu lungo, dissi semplicemente: “Una finale non si gioca, si vince. O moriamo in campo e portiamo la coppa a Milano, o moriamo perché a Milano non ci torniamo. Quindi vediamo di tornarci, e di portarci la coppa”».