2013
Esclusiva, Cusin a 360 gradi: “Vi racconto la mia Africa piena di talenti. Le mie avventure con Zenga, i problemi del Viareggio e dell’Italia”
Definirlo un giramondo forse sarebbe riduttivo. Ma voi come chiamereste un allenatore che ha lavorato in Francia, Camerun, Bulgaria, Libia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi? Stefano Cusin, italiano nato in Canada, non si è fatto mancare anche diverse esperienze nel nostro paese (ha allenato le giovanili di Arezzo e Montevarchi, oltre ad essere stato osservatore della Fiorentina). Nell’estate 2010 la sua strada si è incrociata con quella di un certo Walter Zenga, del quale è stato il vice all’Al Nassr Riyadh prima e all’Al Nasr Dubai poi. Dopo due anni insieme, ha però deciso di salutare l’ex portiere e dalla prossima estate lo vedremo sicuramente su una nuova panchina. La redazione di CalcioNews24.com ha raggiunto in esclusiva Cusin per un’intervista, speriamo interessante come la sua carriera.
Partiamo con le due esperienze con Zenga, la prima in Arabia Saudita e la seconda negli Emirati Arabi…
“Per me sono state due esperienze determinanti. Walter lo stimavo già da prima e l’ho sempre seguito in tutte le sue squadre. La possibilità di lavorarci insieme ha rappresentato una grande palestra, ho imparato tanto da lui ed è stato decisivo per la mia carriera. In Arabia Saudita c’è un clima molto particolare, l’unico divertimento è il calcio. Lavoravamo per una delle più importanti squadre del paese, all’aeroporto avevamo a volte anche settemila tifosi che ci seguivano in trasferta. E’ stata una grandissima esperienza dal punto di vista umano, ho scoperto un paese con valori molto profondi. A dicembre i problemi relativi ai pagamenti ci hanno costretto andare via, ma lo abbiamo fatto da secondi in classifica, cosa che non succedeva da vent’anni. Giusto il tempo di firmare e siamo volati a Dubai, una città fantastica. Lì ho trovato un ambiente completamente diverso e una cultura completamente diversa, anche se il mondo arabo visto da fuori sembra tutto uguale. L’Al Nasr era una nobile decaduta alla quale mancava lo scudetto da venticinque anni. Quando siamo arrivati la squadra era quartultima in classifica e, a mio parere, abbiamo fatto un super lavoro. Walter è stato molto bravo, tutti abbiamo dato il 200% e siamo riusciti nell’impresa di creare una squadra dal nulla. Abbiamo disputato un grandissimo finale di stagione vincendo le ultime cinque partite e riuscendo a qualificarci per l’AFC Champions League (la Champions asiatica, ndr). Nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Nella seconda stagione siamo partiti ancora meglio e, dopo un campionato di grande intensità, ci siamo classificati secondi ottenendo nuovamente la qualificazione in Champions. E’ stato un cammino lungo ma bellissimo. Dal punto di vista sportivo è stato un grande successo, basti pensare che alla prima partita dopo il nostro arrivo c’erano settanta spettatori e all’ultima di campionato ben ventiduemila. Ho ricordi bellissimi di entrambe le esperienze, non solo per i grandi risultati ottenuti ma soprattutto per i tanti momenti dal punto di vista umano che abbiamo condiviso tutti insieme”.
Avendo allenato in tre paesi diversi dell’Africa, nessuno meglio di lei potrebbe descriverci la realtà del calcio africano.
“L’Africa rappresenta un enorme serbatoio di giocatori, è un’area piena di bravi giocatori bravi. Il vero problema è che in tanti paesi mancano le strutture e ciò ostacola la crescita finale del calciatore. Tanti grandi talenti restano nel continente africano fino ai sedici anni, poi volano in Europa per adeguare la propria formazione dal punto di vista tattico e della cultura. Per me gli anni trascorsi in Africa sono stati importanti durante i quali non solo ho scoperto continente, ma anche una mentalità. Il calcio è lo specchio della società. Quelli africani non sono paesi con lo stesso sviluppo di quelli sudamericani, non ci sono televisioni né i soldi per mantenere i giocatori di qualità. Fa eccezione il Nord Africa, strutturato il modo differente, l’Angola, che ha un campionato interessante, e il Sudafrica, che ha più mezzi a disposizione. Il calcio africano è molto più complesso di quello che sembra, invece non basta recarsi sul posto per scovare nuovi talenti”.
A proposito di talenti africani, chi ti ha impressionato durante l’ultima Coppa d’Africa?
“Dal mio punto di vista è stata una Coppa d’Africa deludente per diversi motivi. Innanzitutto l’ultima edizione era forse troppo fresca, essendo trascorso un solo anno. Poi il paese organizzatore, che aveva dato vita ad un grande Mondiale nel 2010, non è riuscito a fare lo stesso con questa competizione. Tanti campi da gioco erano in condizioni veramente pietose, un peccato per lo spettacolo. Uno dei giocatori più brillanti di questo torneo, pur non essendo più giovanissimo, è stato Seydou Keita; l’ex Barcellona ha dimostrato di possedere personalità, geometri e tecnica, vederlo giocare è un piacere. La Nigeria ha vinto meritatamente con tanti giovani di qualità. Io personalmente non l’avevo indicata come una delle favorite, ma ha dimostrato di essere una squadra compatta con il giusto mix tra calciatori giovani ed esperti. Mi sono piaciuto molto i due centrali difensivi Omeruo, classe ’93, e Ambrose, classe ’88. Poi non vorrei essere banale, ma Traoré e Pitroipa del Burkina Faso hanno disputato una grandissima Coppa d’Africa. In generale, però, non sono stati proposti tanti nomi nuovi, la maggior parte dei giocatori era già nota e conosciuta prima”.
Con Camerun e Acada Sports ha partecipato a due edizioni del Torneo di Viareggio: come mai, a suo parere, viene puntualmente snobbato dalle big europee?
“Quindici giorni fa mi trovavo in Qatar e lì, per partecipare ad un torneo, c’erano le giovanili di Barcellona e Real Madrid. Per partecipare al Viareggio ogni squadre deve pagare una quota di iscrizione, mentre per attirare squadre di questo livello non bisognerebbe fargli pagare niente e, anzi, farsi carico delle spese. Credo che il problema sia di natura economica, il Torneo di Viareggio ha dei costi importanti da sostenere e la risposta alla domanda sta proprio qua. Dal punto di vista prettamente personale, conservo un grandissimo ricordo delle mie due esperienze al Viareggio. Tutti si aspettavano di trovare la classica squadra africana impreparata e, invece, abbiamo conquistato degli ottimi risultati. Nel 2005 abbiamo giocato contro l’Inter nell’ultima partita del girone riuscendo a strappare un pareggio, dimostrando così che il calcio africano è ben strutturato”.
Ma come viene vista all’estero l’Italia del calcio?
“A questa domanda c’è una doppia risposta. In senso assoluto, l’Italia ricopre sempre un ruolo importante nel calcio mondiale; siamo rispettati perché ci riconoscono una grande cultura tattica e perché abbiamo vinto tanto, i successi sono per sempre. Dall’altra parte, però, all’estero sostengono che a livello giovanile potremmo fare molto meglio: questa è l’accusa che viene rivolta all’Italia. Se non lavoriamo bene in questo settore, alla fine i nostri giovani sono inferiori a molti stranieri. Tranne pochi casi illustri come l’Atalanta, non vengono fatti gli investimenti che invece servirebbero. Recentemente ho seguito molto il calcio tedesco e lì hanno fatto tantissimi investimenti, così si sono ritrovati a vincere in Europa a livello giovanile. In Spagna si investe molto nel settore giovanile, ci si affida ad allenatori giovani con idee brillanti e si dà spazio al giovane calciatore, messo in condizione di poter crescere anche sbagliando. In questi paesi c’è un progetto, che forse è quello che manca all’Italia”.
Per chiudere, quale sarà il futuro di Stefano Cusin?
“Siccome ho lavorato tanto in questi ultimi cinque anni e le vacanze le utilizzavo per studiare e per partecipare al corso a Coverciano, non avevo mai tempo per riflettere e riorganizzarmi. Già prima del termine della scorsa stagione, avevo detto a Walter che non avrei proseguito con l’Al Nasr perché volevo ricominciare a lavorare da solo. Così mi sono preso un anno sabbatico per studiare il calcio da vicino. Ho viaggiato tantissimo avendo modo di studiare, prendere informazioni e di crescere. Il mio futuro sarà comunque in un paese del Golfo (Persico, ndr) o dell’Africa”.