2014

Esclusiva, Antonio Cabrini: «Hey, non fu mica colpa del mortaretto!»

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Intervista al Bell’Antonio, Campione del Mondo ’82 e sportivo vero che ci sfata l’ultimo mito sul famoso rigore calciato (male) contro la Germania Ovest…

Archiviata a malincuore – per usare un eufemismo – la disastrosa eliminazione dell’Italia “prandelliana” dai Mondiali in Brasile, noi di Calcio News24 siamo andati a leccarci le ferite conversando con un Campione del Mondo vero, uno che la Coppa FIFA l’ha alzata con dignità mista ad orgoglio in una famosa notte madrilena. Quell’Antonio Cabrini da Cremona che non stiamo neanche più a presentarvi, ma che merita di essere nuovamente incensato. Non per mera nostalgia, ma come monito ingombrante all’interno di una fase (nuovamente) cupa, cupissima del nostro football nazionale.

 

Con una sola, imprescindibile precisazione: l’intervista con “Cabro” è avvenuta 24 ore prima della disfatta azzurra contro l’Uruguay (e, giornalisticamente parlando, è stata trascritta nelle 24 successive). Ecco perché non troverete qui – e lasciateci aggiungere l’avverbio “fortunatamente” – squallide domande su morsi vampireschi, creste bionde, spogliatoi in rivolta, toto-allenatori ed altre brutture varie. Il brutto – d’altronde – non è assolutamente lecito né consentito se tutta Italia ti ha sempre visto come il “Bell’Antonio”…

 

Recentemente è uscito per BUR/Rizzoli un tuo manuale sull’approccio al calcio intitolato ‘Non aver paura di tirare il calcio di rigore’. E detto da te che ne hai sbagliato uno (non decisivo) la sera dell’11 luglio 1982 a Madrid…

“Sì, prendilo come un libro dove mi racconto in prima persona e do dei consigli essenziali – tramite undici parole chiave – per raggiungere alcuni successi nella vita. ‘Manuale’ è una buona definizione ed io ci aggiungerei anche l’aggettivo ‘trasversale’…”

 

Deduco che scrivere ti piaccia visto che la tua esperienza letteraria è cominciata nel 2008 con ‘Ricatto Perfetto’, un romanzo giallo ambientato nel mondo del pallone. Una scelta meno scontata della solita biografia…

“Esatto, scrivere mi piace parecchio, eppure non credo uscirà mai una mia autobiografia. Diversi editori si sono fatti avanti in tal senso, ma leggere 300 pagine sulle vicende umane e sportive di Antonio Cabrini è una cosa che non mi stimola affatto… (sorride) Scriverò sicuramente un altro libro in futuro, ma non su di me.”

 

Di solito, prima che scrittori, si nasce avidi lettori…

“Il gusto della lettura me lo porto dietro da sempre. Da giovane mi presentavo in ritiro con i libri di Ernest Hemingway perché mi piaceva la sua semplicità di prosa mischiata alla forte introspezione dei suoi personaggi: Hemingway, insomma, scriveva di uomini veri. Attualmente non sto leggendo molto, troppi impegni legati alla Coppa del Mondo, ma conto di recuperare presto magari con qualche bel giallo scritto da un autore italiano. Adoro la nostra letteratura noir.”

 

Dato che la tua autobiografia probabilmente non uscirà mai, mi sveli due ultimi enigmi legati a Spagna ’82?

“Prego. Se posso…”                       

 

In camera prima di Italia-Brasile o la finalissima contro la Germania Ovest che libro tenevi sul comodino? Riuscivi a distrarti all’interno di quel pressante clima d’attesa?

“No, mai letto niente, neppure i giornali. E d’altronde chi ci sarebbe riuscito? In fondo quella non era solo una Nazionale di calcio, ma un gruppo di ragazzi che stava giocando per la vittoria di un’intera nazione. Se si parla ancora oggi del mondiale di Spagna è perché quel titolo fece del bene a tutti gli italiani, non solo a giocatori, dirigenti ed allenatore.”

 

Quindi in camera, tra di voi, vi sfinivate di parole e discorsi?

“In realtà ce ne stavamo ognuno con i propri pensieri. Finite le partite eravamo talmente stravolti che cercavamo solo di recuperare energie e concentrazione. Io passavo le notti a pensare all’Argentina, al Brasile, alla Polonia e alla Germania Ovest e ogni tanto dormivo!”

 

Seconda curiosità epocale: è stato quel petardo esploso a pochi centimetri dal dischetto a deconcentrati e a farti sbagliare il rigore contro i tedeschi?

“No, nella maniera più assoluta. Quel rigore l’ho tirato male: era destino che uscisse alla sinistra di Schumacher (Harald detto “Toni”, il portiere della Germania Ovest, ndr). Nessuna scusa, guarda, tanto meno quella del mortaretto!”

 

Il prossimo 21 dicembre saranno già passati quattro anni (praticamente la distanza tra un Mondiale e l’altro) dalla scomparsa di Enzo Bearzot: ti manca il Vecio?

“Mi manca sì: d’altronde Bearzot non è mai stato solo un CT, ma un ‘secondo padre’ per molti di noi. In dieci anni ha gestito una squadra in maniera meravigliosa e spero tanto che non manchi solo a me, ma a tutto il mondo del calcio. E allo sport in generale.”

 

Ci “parli” con lui di tanto in tanto?

“Rivedo più che altro delle sue immagini. Magari quella con la coppa FIFA alzata al cielo o con la pipa in pugno. E lo ricordo nel migliore dei modi, ogni singola volta”.

 

Bearzot venne contestato nell’ultima parte della sua vicenda in Nazionale perché a Messico ’86 portò ben nove reduci dal trionfo di Madrid fallendo contro la Francia di Platini l’accesso alle prime otto del mondo. Più o meno quello che è successo – in maniera molto più deludente – pure a Marcello Lippi a Sud Africa 2010 e alla Spagna di Vicente Del Bosque qualche giorno fa in Brasile…

“È normale: fa parte del cosiddetto ‘ricambio generazionale’ che non avviene mai in tempi brevi.”

 

Oppure è un mix letale di squadra logora più troppa riconoscenza da parte del Mister di turno…

“No, la tua è una semplificazione. Ribadisco: i ricambi generazionali non sono faccende da cinque minuti. Ci vuole tempo, tanto tempo. E la Spagna che ha perso in Brasile è solo la conseguenza del Barcellona di quest’anno. Dopo 10 anni di dominio globale è perfino normale abdicare.”

 

Ti va se ti definisco il primo grande esterno “all’olandese” mai prodotto dal nostro calcio? Prima di Paolo Maldini istruito da Sacchi, ci sei stato indubbiamente tu. Fin dal tuo debutto con la Juventus nel 1977…

“Beh, io vengo dalla generazione dei Facchetti, ma poi sul campo sono diventato un’altra cosa. Da piccolo giocavo attaccante e mi è piaciuto portare quest’esperienza nel mio ruolo di terzino sinistro: dentro mi sentivo così. Prendi la partita di Coppa Campioni della Juve contro il Real Madrid a Torino nel 1986: in pochi secondi sono passato dalla difesa all’aria di rigore avversaria… e ho pure segnato un bel gol di sinistro!”

 

Ultima domanda: lo sai cos’ha scritto di te uno come Diego Armando Maradona? Te lo cito testuale dalla sua autobiografia ‘Yo Soy El Diego’: “Cabrini? Mi è sempre piaciuto… era bello, hijo de puta! Era un asso, giocava molto bene a calcio”. Direi che può bastare per suggellare una carriera, no?

“(ride di gusto) Con Diego eravamo amici! Con lui, negli stadi, sì è visto un calcio che purtroppo non tornerà mai più. Tutti lo descrivono come un campione ambiguo, per me era un grandissimo condottiero.”

A cura di Simone Sacco

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