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2018

Elezioni FIGC: via il vecchiume, ma l’alternativa è davvero così nuova?

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Elezioni FIGC: Damiano Tommasi si contrappone alla vecchia politica del pallone rappresentata da due dinosauri come Gravina e Sibilia, ma siamo così sicuri che il capo dell’AIC rappresenti una novità?

Con quei boccoli alla Riccardo Cocciante, l’aria innocente di chi se gli chiedi se ha mai comprato Playboy ti risponde «Solo per leggere l’oroscopo», l’espressione persa di chi spesso sembra capitato chissà come in un mondo da lui molto distante, quando invece magari dovrebbe essere in Africa a curare i bambini malati, ci eravamo quasi cascati. Damiano Tommasi, pure a noi, pareva il nuovo che avanza, la svolta drastica rispetto al recente passato della FIGC, quello di anziani che parlavano di calciatori che mangiano banane perché costretti a pensare pure al potassio vista l’età che avanza. Invece no, il presidente dell’Assocalciatori, uno dei tre candidati alla presidenza della Federazione Italiana Giuoco Calcio, nell’impresa di assuefarci alla logica pietosa del “meglio io che ‘sto mortorio” non è ancora riuscito del tutto. Anche se, oddio, di tempo davanti ancora ne ha un po’…

Il fatto è che Tommasi tanto nuovo forse non è. Che poi nel concreto sia l’unica modesta controproposta a Villa Arzilla, ovvero ai soliti matusalemme del calcio italico (Gabriele Gravina e Cosimo Sibilia, appena centoventitre anni in due, una vita passata ad occuparsi di politica e di pallone, cioè le uniche alternative legalizzate in Italia allo spaccio e al gioco d’azzardo) è un altro conto. Ci si dimentica, per esempio, che Tommasi sia l’espressione politica di una delle frange più colpevoli dello sfacelo mondiale nel quale l’Italia è piombata circa tre mesi fa: i calciatori. Se il disastro contro la Svezia era infatti figlio delle scelte di un commissario tecnico che pareva uscito da un qualsiasi film di Natale anni ’90 (sole, whisky e sei in pole position), a sua volta figlio delle scelte di una Federazione che pareva uscita da un qualsiasi film di Dario Argento, c’è pure da dire, per dovere di onestà, che in campo quei giorni non è scesa la rappresentanza migliore della leva calcistica nazionale. Oppure anzi la migliore possibile, che infatti le ha buscate contro i fratelli muscolosi di Filippa Lagerback: sarebbe ancora più triste.

Damiano Tommasi, un diversamente giovane

Vero è che Tommasi non rappresenta solo i modesti calciatori della nostra Serie A, ma pure i figli di nessuno delle leghe inferiori. Gli stessi a cui, onestamente, dall’avvento di frate Damiano ai vertici AIC in poi, la vita non è cambiata di una virgola. Se infatti le società fallivano prima e falliscono ora nella stessa pietosamente identica maniera, è pure altrettanto vero che in Lega Pro e Serie D si continua a giocare per un tozzo di pane quando va bene: non esistono privilegi e non esistono tutele di classe, parlare di sindacato è come parlare di tartine al caviale alla mensa della Caritas. Calci in culo sì, quelli ce ne sono sempre tanti. Non è un segreto allora che la gran scorta di potere su cui si muova l’Assocalciatori sia quella legata ai soliti noti (come l’Assoallenatori, cioè quel Renzo Uivieri ottuagenario ancora convinto dell’esistenza dell’Unione Sovietica che non voleva far fuori Giampiero Ventura anche dopo il naufragio) e ai nomi illustri del nostro calcio: Tommasi che batte i pugni sul tavolo per ottenere l’acqua calda nelle docce del San Burino non ha propriamente lo stesso appeal mediatico di una battaglia legata a un qualsiasi milionario del pallone. E infatti, guarda caso, l’ultima intrapresa dal prode Tommasi, l’uomo che parla di calcio tra un Padre Nostro e l’altro, è stata quella contro le partite a Natale.

Vi siete per caso divertiti durante le feste a vedere la Serie A? Beh, sappiate che Tommasi e i calciatori quelle partite non le volevano nemmeno. Troppo alto il rischio di infortuni, dicevano. Come se gli infortuni muscolari non fossero la regola anche durante il resto dell’anno. Come se infortunarsi non fosse una delle tante incognite imprevedibili della vita di un calciatore. Come se un chirurgo si rifiutasse di operare il 24 dicembre perché col cenone ravvicinato magari c’è il rischio di asportare un polmone invece che l’appendice. Come se i calciatori professionisti infortunati non ricevessero comunque tutele e stipendio a fine mese (pensate, Giuseppe Rossi dovrebbe vivere di sussidi statali). Per questo Tommasi non rappresenta nulla di nuovo rispetto ai soliti vecchi tromboni uscenti (o entranti) in Federazione: è una manifestazione attuale del potere e dei privilegi consolidati di una delle tante fazioni che da anni si fronteggiano in Federazione coi risultati che tutti conosciamo.

#cambiamoilcalcio. No: cambiamo registro magari

Tommasi non è un giovane e non è una novità, non è nemmeno un vegliardo però: è un diversamente giovane. Un non giovane. Il Nongio del calcio italiano, come Francesco Mandelli ai tempi di MTV. Un vecchio con le sembianze di nuovo, ma che vecchio rimane. Anche la sua comunicazione è fintamente moderna: l’hashtag #cambiamoilcalcio per chiedere ai tifosi proposte e idee per rifondare il mondo del pallone dà l’idea di una mossa povera di contenuti per almeno un paio di ragioni. Prima di tutto perché non ci si può aspettare che l’idea del secolo provenga da utenti abituati a twittare e scannarsi nella media dei casi sulla VAR, X Factor, C’è Posta per te e l’ultimo album di Benji e Fede. In secondo luogo perché una mossa del genere manifesta un’incapacità di fondo latente: chiedo idee agli altri, perché è possibile che io non ne abbia nemmeno mezza. E non è neanche partecipazione diretta se per “partecipazione diretta” nell’accezione tommasiana si intende far redigere ai fan del Mondo di Patty o alla massa poco istruita di regolamenti e questioni tecniche del complesso sistema calcio uno straccio di programma dettagliato. Già ce lo vediamo di questo passo, un domani, un candidato alla presidenza del Consiglio che twitta: “Allora regà, la aboliamo ‘sta supercazzola de Costituzione? Idee per farla leggere anche ai giovani? La facciamo riscrivere a Emma Marrone? RT se sei d’accordo, cuoricino se non lo sei. #cambiamolaCostituzione”. Semplificare non è banalizzare.

Le domande infine che più di tutte ci tormentano e a cui non abbiamo ancora ricevuto risposta: con quale forza il carismatico Tommasi convincerebbe Carlo Ancelotti a prendere le redini di una Nazionale che raschia il fondo del barile? Con quali argomenti intenderebbe convincerlo? Con quali risorse penserebbe di pagargli lo stipendio? Qual è l’alternativa concreta (leggi anche: TOMMASI: «PER ORA TENIAMOCI DI BIAGIO»)? Diamo per scontato che Gravina e Sibilia non possano rappresentare per nessuna ragione al mondo una garanzia di rinnovamento e allora ci chiediamo: Damiano Tommasi è davvero una novità assoluta nel panorama politico nazionale? O l’alternativa al vecchiume è più vecchia di quanto ci si possa immaginare?

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