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Delneri: «Il mio Chievo si ispirava a Sacchi e giocavamo con un vero 4-2-4»

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Gigi Delneri, 72 anni, è nel mondo del calcio da oltre mezzo secolo, prima come giocatore, poi come allenatore

Gigi Delneri, 72 anni, è nel mondo del calcio da oltre mezzo secolo, prima come giocatore, poi come allenatore. Attualmente senza panchina, SportWeek lo ha intervistato.
PENSIONE – «Non mi va di muovermi troppo e non mi aspetto niente. Mi sento in via di chiusura, mettiamola così. Se avessi 60 anni, spererei in un’offerta milionaria dell’Arabia, ma ne ho quasi 73. Il calcio mi ha dato molto, anche se quello che ho avuto me lo sono guadagnato. Per arrivare in Serie A, ho lavorato e vinto in tutte le categorie: dilettanti, Serie B e C. Sono partito dal basso».
GIOCATORE – «Avevo il passo lento e la testa veloce. Senza presunzione, penso che oggi giocherei perché anticipavo la giocata, qualità fondamentale. Forse farei il regista alla maniera di Corini nel mio Chievo».
IL SUO CHIEVO – «Giocavamo con il 4-2-4, perché gli esterni erano due ali vere, d’attacco, Luciano e Manfredini. E ci basavamo su un’idea impegnativa: tenere gli avversari il più lontano possibile dalla nostra porta. Calcolate che in quegli anni gli avversari si chiamavano Ronaldo, Inzaghi, Shevchenko, Batistuta, Kakà, e ne dimentico tanti. Ricordiamoci che in quegli anni cominciavano a cambiare la regola del fuorigioco e noi tenevamo la linea difensiva alta. Bellezza e risultati: 54 punti e quinto posto nel 2002, 55 punti e settimo posto nel 2003, con un gruppo di giocatori semisconosciuti al grande pubblico. Venivamo dal periodo d’oro di Sacchi e io condividevo il principio alla base del calcio di Arrigo: mai modellarsi sull’avversario, sempre sviluppare un gioco proprio».
IL CHIEVO É FALLITO – «Hanno deciso in fretta come dovesse finire il Chievo, non penso che non ci fosse una possibilità di salvarlo. Campedelli non lo sento da un po’. Le vicissitudini lo hanno segnato».
LA SUA ROMA CON TOTTI E CASSANO – «Qualità in abbondanza, che la squadra doveva supportare, e qui scatta un altro concetto cruciale: il fuoriclasse deve mettersi al servizio degli altri, il gruppo viene prima. Anche Pelé, nel Brasile del ’70, si muoveva per i compagni, che in gran parte erano dei fenomeni».
TOTTI – «Poteva giocare ovunque: mezzala, trequartista, attaccante, regista. Totti era la Roma e per la Roma dipingeva capolavori e si sacrificava, tornava indietro a dare una mano».

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