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De Zerbi: «Allo Shakhtar per soldi? Sciocchezze! Esco dalla comfort zone»

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Roberto De Zerbi ha parlato in una lunga intervista al Corriere dello Sport: le parole del tecnico dello Shakhtar Donetsk

Roberto De Zerbi ha concesso una lunga intervista al Corriere dello Sport. Le sue parole.

PERCHE L’UCRAINA – «Perché volevo rimettermi in gioco. Perchè voglio crescere. Perché al Sassuolo ero arrivato – secondo me – al punto più alto del progetto. Perché intendo imparare a gestire tre partite settimanali con organici ricchi di stranieri e misurarmi con una lingua nuova. Perché voglio diventare padrone dell’inglese. Perchè lo Shakhtar? Perchè sono stati quelli che mi sono apparsi più vicini al mio modo di pensare il calcio. E perchè nessuno più di loro mi ha dato la sensazione di potermi completare ulteriormente».

FONSECA – «Ho chiamato Paulo Fonseca, del quale ho grandissima stima e con il quale c’è un rapporto fantastico, e mi sono lasciato guidare in una realtà  per me ignota. Nessuno più di chi ha avuto modo di allenare lo Shakhtar avrebbe potuto offrimi una panoramica a 360° gradi su ciò che mi attende».

ITALIA – «In Italia qualcosa si è mosso, ho avuto contatti ma poi ho scelto di andare in Ucraina. Lo Shakhtar mi è sembrata la collocazione più aderente alla mia identità e il club che rappresenta la mia filosofia. C’è una società che ha una sua storia e vuole impreziosirla ulteriormente. Io esco da quella che era diventata la mia comfort zone del Sassuolo, dove ero amato da chiunque. Ma ormai avevo bisogno di ricominciare daccapo, praticamente da zero. E però nn si dica, come ha scritto qualcuno, che l’ho fatto per i soldi. Sciocchezze! Restando qua avrei guadagnato le stesse cifre».

SERIE A CON ALLEGRI, MOU SPALLETTI – «Devo dire che mi spiace privarmi di un così elevato confronto con colleghi dei quali ho il massimo rispetto e una stima assoluta. Stiamo parlando di quattro allenatori da inserire nella categoria dei top alla quale appartengono pure Gasperini e Pioli. Con loro diventa più vivo un campionato nel quale poi, ci sono in panchina altre figure emergenti. La Serie A si impreziosisce delle loro culture, di personalità così forti con le quali incrociandosi ci si arricchisce».

IL PIÙ BRAVO – «La gente dice che lo sia colui che vince. Io non so se ciò sia vero, però penso che Guardiola rappresenti il non plus ultra. Ha perso la finale di Champions League e si è ritrovato criticato per aver rinunciato al centravanti, per aver scelto di avere un mediano in meno, per aver osato proprio come aveva fatto un intero campionato, stravinto utilizzando le identiche teorie risultate insufficienti soltanto in quei 90 minuti. Quelle strategie, che per mesi erano state sostenute da cori d’ammirazione, all’improvviso per una sconfitta sono diventate argomentazioni per attaccarlo. A me qualcosa non torna onestamente».

ERIKSEN – «Le immagini in tv sono state fortissime e mi hanno scosso. Auguro a Eriksen di tornare a una vita normale e poi a quella di calciatore, perché un talento come lui merita di esprimersi sul campo. Ma nella memoria è rimasta cristallizzata la fotografia dei suoi compagni, quel cordone umano che prima lo protegge e poi lo accompagna fuori dal campo. Nella drammaticità, un momento unico, commovente».

RASPADORI, LOCATELLI BERARDI IN NAZIONALE – «Io non ho meriti, sono probabilmente soltanto la punta dell’iceberg. Durante il campionato, ogni volta che c’era una sosta, andavano via in 13 o1 4. Ma venerdì sera, nella Turchia, c’erano pure Ayan, Muldur e Demiral, pure loro recentemente legati al Sassuolo, come per esempio Acerbi. È l’ambiente che ha favorito questa fioritura…Però è stata una gran soddisfazione vedere Locatelli e Berardi così integrati e funzionali nel gioco di Mancini».

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