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D’Aversa non è Zeman: il Lecce manca il record di punti del girone d’andata
Con il pareggio di ieri il Lecce di D’Aversa non riesce a raggiungere il record precedente di Zeman nell’andata del 2004-05
D’Aversa non è Zeman, ecco quanto è emerso al termine della giornata di ieri. Attenzione, non stiamo parlando di cultura del gioco e neanche di giudizi di valore, bensì semplicemente del fatto che una vittoria in Lecce-Cagliari avrebbe permesso ai salentini di superare il record nel girone d’andata del 2004-05. Quello era il Lecce per l’appunto del tecnico boemo, con un gioiello come Mirko Vucinic, che chiuse a 22 punti la prima parte del torneo e altrettanti seppe farne nel ritorno. Quello di oggi deve “accontentarsi” di uno in meno ed è comunque più che in linea con i programmi di partenza, vivendo stabilmente in una zona relativamente lontana dai quartieri periferici della retrocessione. Resta il fatto, però, che la sensazione di un leggero spreco contro i sardi abbia una ragione d’essere. Intendiamoci, il risultato è più che giusto: una rete per tempo ha corrisposto anche ad occasioni in fotocopia (3-1 per i padroni di casa prima dell’intervallo, stessa differenza a favore degli avversari nella ripresa). Ma ha ragione il tecnico del Lecce quando sostiene che «In Serie A certe partite devi chiuderle». Probabilmente preoccupato per un trend che sta vedendo la netta flessione della squadra, capace di raccogliere 11 punti nelle prime 5 giornate e poi di farne 10 nelle successive 14: un’inversione di tendenza che deve trovare una correzione, se non si vuole rischiare.
Nei 90 minuti di ieri vale la pena soffermarsi su due questioni.
1) Il Lecce è lungo. Probabilmente è proprio in questa dimensione che la squadra si esprime meglio. Il Lecce si basa molto sull’accensione dei suoi talenti, Strefezza e non solo, appoggiandosi su un principio di costruzione della manovra spesso affidato ai lanci, dove Baschirotto se la cava e Krstovic fa un buon lavoro nel tenere palla e anche nell’andare in profondità. Peccato che in tutto questo poi si vada a scontare una certa mancanza di compattezza. I terzini appoggiano l’azione, talvolta anche con molto coraggio. Ma quando si perde palla, non mancano situazioni di squilibrio abbastanza evidenti. Questo essere un po’ disordinati induce anche a una certa frenesia nelle conclusioni. Il Lecce le cerca subito, soprattutto da fuori, non manca chi le sa proporre. Al ventesimo minuto aveva già effettuato 6 tiri verso Scuffet e ne aveva ricevuti 3. Peraltro lasciando abbastanza tranquillamente campo al Cagliari, dove Petagna ha ricevuto palla molto più a ridosso dell’area o dentro la stessa di quanto sia riuscito al suo omologo dall’altra parte.
2) Il fattore Falcone. Lecce e Cagliari hanno segnato da palla inattiva. L’1-0 è nato da calcio d’angolo, con buona traiettoria disegnata da Oudin, che ha trovato insolitamente pronto a colpire di testa Gendrey, che in carriera non aveva ancora segnato, né in Italia, né precedentemente in Francia. Al contempo, la rete del pareggio è arrivata da una punizione a lunga gittata di Viola, sulla quale Oristanio è partito con i tempi giusti per andare a infilare Falcone. Il quale, va detto, è riuscito comunque a intercettare il pallone di piede e ha tolto anche di mano anche il pallone dalla porta, solo che aveva già varcato la linea. Sarebbe stato un intervento prodigioso, che effettivamente ha fatto poi 3 minuti dopo avere incassato l’1-1 su una bordata da lontano da Prati, una risposta che gli è valsa il 7 in pagella da parte de La Gazzetta dello Sport. E che rappresenta un riconoscimento al suo ottimo girone d’andata. Con un portiere così le condizioni per fare una vita tranquilla sono abbastanza certe, purché non si finisca per accontentarsi troppo. Proprio come ieri, dove ad un certo punto al Lecce è mancata un po’ di quella determinazione che porta alla vittoria.