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Daniele De Rossi: 5 parole per conoscere il nuovo allenatore della Roma

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Cinque dichiarazione per conoscere al meglio Daniele De Rossi, nuovo allenatore della Roma, dette nel corso della sua carriera

Uno come Daniele De Rossi non è comprimibile facilmente. Quel che è certo è che sabato pomeriggio, romanisti e non, saremo travolti dalla curiosità di vederlo da vicino nel suo nuovo ruolo. Sicuri che non tradirà le aspettative, nel senso che una cosa è certa: il carisma per prendere la scena lo ha.

Ecco 5 parole che lo raccontano nella sua nuova professione di allenatore.

1) CARRIERA. «Ho un solo rimpianto, quello di poter donare alla Roma una sola carriera». Una delle sue frasi più famose, che da adesso in poi assumerà tutt’altra valenza: immaginate se riuscisse sulla panchina, luogo molto più arduo del campo, a “fare epoca”.

2) AGIO. DDR riuscirà nel compito di trasformare una squadra in confusione e scoraggiata a vivere serenamente una situazione nella quale tutti i tifosi, uno per uno, stanno dicendo a ognuno dei componenti della rosa che senza Mourinho adesso sono finiti gli alibi? Una guida ce l’ha, come ha raccontato a Sport Week nel 2021, quando aveva deciso di percorrere la strada da solo: «Mancini mi ha insegnato tanto, è un maestro vero, uno che semplifica il calcio e sa mettere i giocatori a loro agio». Magari l’ex Commissario Tecnico della Nazionale non va più tanto citato, ma le lezioni rimangono e le persone che ci sanno fare non le dimenticano e le fanno proprie.

3) BIRRA. Da componente dello staff azzurro, vive la notte di Wembley con grandissimo trasporto. La Gazzetta dello Sport gli dedicherà un appassionato articolo su quanto succede nello spogliatoio, una scena ripresa in un video da Jorginho e Verratti: «Via la giacca, arrotolate le maniche della camicia, si è gettato sul tavolo irrorato e reso scivoloso dalle numerose birre versateci sopra ed è poi caduto a terra, rialzandosi, esultando e mettendo in mostra quella vena che negli anni ha fatto impazzire soprattutto i tifosi romanisti». Giuseppe Pastore, su Rivistaundici, ha descritto uno dei suoi tatuaggi «realizzato a Roma dall’artista canadese David Peyote, famoso per il suo stile psichedelico: il ritratto di un uomo con una barba rossa al cui interno si staglia la silhouette nera di un’antenna radio, con una cicatrice diagonale sullo zigomo e un cappello da pescatore riempito di birra gialla»

4) CAPELLO. «Ho avuto due tra i dieci allenatori migliori del mondo: Spalletti e Conte. Il terzo è Luis Enrique. Con un altro, Guardiola, ho giocato, e se dovessi prendere una panchina chiederei di andare a guardarlo per imparare»: i riferimenti sono chiari e non stupiscono. Fabio Capello non fa parte dell’elenco dei grandissimi, ma c’è un suo racconto a proposito di «cosa debbano fare gli allenatori per migliorare il calcio» che ha eletto proprio De Rossi a suo esempio: «Rischiare dando spazio ai giovani. Mihajlovic ha messo Donnarumma in squadra a 17 anni, come Nevio Scala aveva fatto con Buffon. Io schierai De Rossi diciottenne, insistendo perché non lasciasse Roma». Se Daniele saprà guardare con curiosità e anche un po’ di amore per il rischio ai tanti ragazzi che la Roma ha, in questo proseguirà con intelligenza quanto fatto positivamente da Mourinho. Non dovrebbe essergli difficile, visto che è il figlio di Alberto, l’uomo che a Trigoria ha lanciato fior di campioni quando erano ancora minorenni.

5) DIVERTIRSI. Non è andata bene alla Spal, la sua prima e unica esperienza. Ma quel che ha detto alla squadra per prepararla al 5-0 sul Cosenza, la sua prima vittoria in carriera, merita di essere citato e chissà che non lo ripeta in qualche forma anche a Pellegrini e compagni: «Cosa gli ho detto prima di entrare in campo? Nulla di particolare, gli ho chiesto semplicemente di giocare come si giocava da piccoli con gli amici, quando spostavi la palla per cercare di far gol, quando il contrasto non lo volevi mai perdere, gli ho chiesto di ritrovare dentro quelle sensazioni e di divertirsi».

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