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2016

Così Dunga e Tabarez hanno rovinato la Copa America

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Le clamorose eliminazioni di Brasile ed Uruguay: l’analisi

Cadute grosse nella Copa America del Centenario: dopo la clamorosa eliminazione incassata dall’Uruguay per mano di Messico e Venezuela nell’ambito del Gruppo C, ecco che la nazionale più titolata al mondo – il Brasile attualmente guidato da Carlos Dunga – fa anticipatamente ritorno a casa, buttata fuori dalla rassegna già alla fase a gironi da compagini meno strutturate quali Perù ed Ecuador.

DISASTROSO DUNGA – Lo avevamo scritto a bocce ferme: Dunga, sul serio? Del resto era impensabile non accorgersene: una lista infinita di calciatori di assoluto livello – chi tecnico, chi carismatico – lasciati a casa in virtù di quella apparsa un po’ a tutti come una vera e propria sperimentazione. La sede però non era quella ideale: la Copa America del Centenario, una competizione che proprio per la specialità dell’occasione ha attratto gli occhi di tutto il mondo. Il Brasile ha fatto una figuraccia: l’intento – lasciato trasparire da Dunga – era quello di superare il girone e giocarsela senza troppi grilli per la testa nella fase ad eliminazione diretta. Dove un’eventuale eliminazione sarebbe risultata perdonabile. A certi livelli però il campo non perdona e non c’è mano di Dias che tenga: nessun alibi per una Selecao ai limiti del non giudicabile.

TABAREZ E IL PIANO B – L’attuale selezionatore uruguagio Oscar Washington Tabarez non è affatto stato in grado di sviluppare una soluzione alternativa all’assenza di Luis Suarez, fuori dalle prime due gare della competizione (poi risultate mortifere alla Celeste) per un infortunio rimediato con il Barcellona. Le dotazioni iniziali erano chiare: difesa ferrea – quella dell’Atletico Madrid vice campione d’Europa, composta da Godin e dal fortissimo classe ’95 Gimenez – ed attacco dalla portata devastante, con Suarez e Cavani bocche da fuoco di livello assoluto. Così come i difetti: la storica assenza di un centrocampo di qualità. Venuto meno il perno della produzione offensiva – la Scarpa d’Oro 2016 Luis Suarez – il commissario tecnico Tabarez non ha rintracciato alcuna contromisura efficace per compensare un’assenza così pesante, palesando una proposta calcistica oggettivamente inguardabile. Ne hanno approfittato, senza neanche faticare troppo, Messico e Venezuela, sulla carta non all’altezza della nazionale che ha alzato al cielo il trofeo più volte di tutti gli altri.

SCENARIO – L’Argentina oggi non ha scuse: venute meno rispettivamente avversaria numero uno e numero due, non resta che avvicinarsi passo dopo passo a quel successo nazionale che manca dal 1993, quando la Seleccion conquistò proprio la Copa America in Ecuador. Il vento buono è tornato: lo testimoniano con indubitabile certezza le finali raggiunte nelle ultime due competizioni internazionali, il Mondiale in Brasile – dove l’Argentina si è arresa soltanto ai supplementari con la Germania del funambolo Gotze – e la Copa America 2015 in Cile, sconfitti proprio dai padroni di casa ai calci di rigore. L’attualità: con Brasile ed Uruguay clamorosamente a casa già alla fase a gironi, non può esserci Colombia, Messico o (ancora Cile) a frapporsi tra gli uomini di Martino e la gloria. Parco attaccanti mostruoso, livello dell’organico all’altezza in ogni comparto: la guida di Messi – paradossalmente in debito con la sua patria, pensando al suo curriculum accumulato a livello di club – e la sostanza di una nazionale che oggi ha pochi pari al mondo. Vietato sbagliare, altrimenti alla base c’è un sostanziale quanto non risolvibile problema di leadership.