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2016

Non toglietegli l’amore per l’Argentina

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messi argentina giugno 2014 ifa

Copa America del Centenario clamorosamente vinta dal Cile: ai rigori sbaglia Messi

La Copa America del Centenario va clamorosamente al Cile: battuta l’Argentina ai calci di rigore, sbagliano Leo Messi e Lucas Biglia, per il Cile il solo Arturo Vidal. Epilogo incredibile: nessuno stavolta avrebbe puntato un dollaro sugli uomini di Pizzi. La Roja bissa il successo di un anno fa ed in soli dodici mesi vince tutto quello che non aveva ottenuto nella sua storia. Dramma sportivo per l’Argentina.

SPETTACOLO RIVEDIBILE – Partita brutta come poche altre, finale brutta come poche altre. Centoventi minuti di falli, gioco spezzettato, assenza totale di continuità: al Cile va bene così, del resto sembra averla impostata o quantomeno presto indirizzata su questo sentiero. Le pause sono cercate, studiate, e con lo scorrere dei minuti innervosiscono i calciatori argentini, che dopo l’espulsione di Diaz rispondono presto con il rosso inflitto a Marcos Rojo e sprecano la grande occasione data dalla superiorità numerica. E’ all’Argentina però che il copione della gara non può andare bene: i segnali dell’autogestione sono chiari. Assenza totale di un progetto tecnico: la Seleccion non esprime gioco né ha un’idea per riuscire nell’intento, distanze tra reparto di centrocampo ed attacco oggettivamente imbarazzanti.

PAGANO ANCHE I SINGOLI – Finora hanno funzionato, nel senso che l’Argentina ha agevolmente incentrato le sue fortune sui colpi dei suoi fuoriserie: Messi su tutti, poi Higuain, Di Maria, Lavezzi, Aguero e Banega. Quando loro inventano – o meglio quando hanno spazio ed inventiva giusta per rispondere a tale stimolo – l’Argentina va, perché del resto una batteria di calciatori di così enorme talento oggi non è vantabile da nessun altro, se non in parte nel continente europeo da Germania e Francia. In una serata così nervosa e torpida vengono meno anche parte di loro: Higuain spreca e replica le notti di Berlino (Mondiale 2014) e Santiago del Cile (Copa America 2015), Di Maria è ancora schiavo dei suoi infortuni, Lavezzi è out, Banega è stanco ed Aguero impreciso. Il migliore è proprio Leo Messi: seppur non nella più luminosa delle sue serate, non appena palla al piede punge la sua Argentina nell’orgoglio, provando ad inventare una situazione proficua o quantomeno a generare superiorità numerica.

MESSI… – Cinque reti in questa Copa America del Centenario, secondo soltanto a quell’Edu Vargas che in nazionale non ne vuole sapere di non primeggiare, l’ultima delle quali la perla da piazzato che gli ha regalato il primato nella storia della nazionale argentina: Leo Messi è il miglior marcatore di sempre dell’Argentina, 55 reti, sorpassato Gabriel Omar Batistuta. E’ un primato che non basta ad essere il miglior calciatore nella storia del suo Paese: del resto vorrebbe dire che Batistuta (54) e Crespo (35) siano superiori a Diego Armando Maradona (34), così come l’ex genero Aguero (33) ed Higuain (30) tra una manciata di gol. Se avesse vinto questa Copa America avrebbe avuto il pass per la legittimazione della sua nazione: tra due anni in Russia, bissare il (non) successo di oggi con il titolo mondiale del 2018 e diventare insindacabilmente il numero uno. Che oggi, nel senso profondo della storia di questo sport, non può essere proprio perché non legittimato dal suo popolo: con il Barcellona ha vinto ogni finale disputata, con l’Argentina ne ha perse tre su tre. Consecutive. Ma attenzione: scambiare questa maledizione per disinteresse è da superficiali. Facendo la somma dei dispiaceri di un popolo intero, quello argentino, non si arriva a quel che ha dentro Leo Messi: il dramma sportivo di non comprendere come il tutto sia possibile. Di non comprendere di essere per distacco il miglior calciatore della sua generazione e non riuscire a regalare una gioia al suo Paese: gli è stato ripetuto troppe volte, se ne è convinto ed arriva su quel dischetto con un carico sulle spalle insostenibile per i più. Dovrebbe riuscirci lui? Probabilmente sì, ma non è nelle sue corde. E’ una divinità del calcio diversa da quel che era Maradona: non è un capopopolo, ha un volto umano, che diventa debole in quel momento. Stavolta non trattiene le lacrime: mettetelo pure in discussione se vi va, ma non dubitate dell’attaccamento alla causa. Dell’amore per l’Argentina.

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