2014

Conte, un diavolo per Capello

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SERIE A JUVENTUS CONTE CAPELLO – Antonio Conte contro Fabio Capello. Un duello che ci accompagna dal lontano 27 maggio 2004, quando il numero otto bianconero, una volta saputo dell’arrivo a Torino – sponda bianconera – del nuovo allenatore e, soprattutto, del ‘Puma’ Emerson,  preferì cambiare aria, decidendo di ritirarsi per iniziare una nuova carriera, quella da tecnico. Nessun rancore verso ‘Don Fabio’, ma tanto dispiacere per non aver potuto lavorare – e magari rubare qualche segreto –  a uno degli allenatori italiani più bravi e vincenti della storia del calcio italiano. Poi una lunga pausa, interrotta solamente dagli elogi del tecnico talentino per Capello all’interno della sua autobiografia “Testa, cuore e gambe”. Fino ad arrivare all’ultima settimana, quando dagli elogi si è passati ad attacchi, che, nel gergo calcistico, potrebbero essere tranquillamente paragonati ad entrate in scivolata a piedi uniti, magari con la gamba alta.

FRECCIATE – Quelle di Capello più che parole di circostanza sono sembrate frecciatine, lanciate, peraltro, ad un uomo che vive con l’arco in mano 24 ore sue 24 ed è sempre pronto a rispondere. Prima il commissario tecnico della Russia ha criticato la scelta – che, seppur non condivisibile, ha comunque un suo senso – di convocare a Vinovo nel giorno di riposo i giocatori bianconeri dopo lo ‘scellerato’ secondo tempo del ‘Bentegodi’. Poi, per completare l’opera, ha dichiarato che la disfatta europea della Juventus è dovuta al fatto che la Serie A, con il passare degli anni, sia diventata troppo poco «allenante». Parole che, nella testa di Conte, sono state facilmente tradotte in un «vincete perché in Italia non ci sono rivali, poi, in Europa, si vede la differenza». Apriti cielo: il salentino dall’animo infuocato ha perso il controllo di sé, finendo per uscire dagli schemi, come dimostrato dalle parole su ‘Calciopoli’ e gli scudetti revocati.

MEZZO – Dove sta la verità? Nel mezzo, come spesso e volentieri accade. Capello, infatti, ha legittimamente parlato di un impoverimento del campionato di Serie A – un dato oggettivo – ma avrebbe potuto – e dovuto – evitare di farlo in relazione all’esperienza europea della Juventus. Perché? Beh, basta vedere il rendimento della sua Juve a cavallo tra il 2004 e il 2006 in Champions League: nonostante una rosa di assoluto valore – una delle squadre più forti, qualitativamente parlando, che i bianconeri abbiano avuto, con otto finalisti del Mondiale del 2006 (Buffon, Cannavaro – che di lì a pochi mesi sarebbe diventato Pallone d’Oro -, Thuram, Zambrotta, Vieira, Camoranesi, Del Piero e Trezeguet) a cui si aggiungono un giovane Chiellini, Emerson, Ibrahimovic, Nedved e Mutu -, il tecnico friulano si è sempre fermato ai quarti di finale. Senza considerare, peraltro, come vi è arrivato nel 2006: se Wiese, portiere del Werder Brema, non avesse goffamente regalato a Emerson la palla del 2-1, la Juventus sarebbe uscita agli ottavi. Eppure, in quella Serie A, di grandi rivali ce n’erano: i risultati in Europa, però, non si sono visti comunque.

ERRORI – Legittima, quindi, la risposta di Conte? No, per nulla. Il tecnico salentino a volte non sembra in grado di distinguere la figura dell’allenatore da quella del tifoso. Da vedere e rivedere il gesto nei confronti di Giovinco, fischiato al momento della sostituzione, da censurare la risposta a Capello. E’ inutile, tuttavia, negare l’evidenza: la Serie A si sarà anche impoverita, ma Conte ha preso una squadra letteralmente a pezzi e l’ha costruita pazientemente, dandole un gioco ma, soprattutto, un’identità. E i risultati sono lì a dimostrarlo: due Scudetti, due Supercoppe Italiane e una finale di Coppa Italia. Il «problema Europa», però, c’è ed è innegabile. Alcune sue scelte non hanno convinto – non impiegare Llorente nell’andata contro il Copenaghen su tutte – e molte responsabilità sono anche sue. Ma – ed è la storia che lo insegna – i grandi rispondono con i fatti, non con le parole: sarebbe stato più opportuno un dribbling da trequartista – difficile per chi, come lui, ha passato 20 anni a spaccare il gioco avversario in mezzo al campo – alle battutine di Capello. Perché, in fondo, i tifosi non sono stupidi: uno scudetto da imbattuti è difficile da dimenticare. «Le parole, a volte, possono essere pericolose»: una lezione che Conte imparerà con il tempo.

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