Calcio italiano
Buon compleanno a… Antonio Di Gennaro
Oggi è il compleanno di Antonio Di Gennaro, commentatore tecnico della Nazionale per la Rai ed ex calciatore: la sua storia
Oggi Antonio Di Gennaro compie 65 anni. Molti lo conoscono in qualità di voce tecnica della Nazionale in Rai, un lavoro nel quale la responsabilità non è banale. Una parola fuori posto, un termine poco appropriato e si finisce nell’occhio del ciclone. Anche perché ci sono milioni di persone che ti guardano e sono pronti a giudicarti. E, ormai, ci sono i partiti pure qui, non in senso politico, ma intesi come divisioni dell’opinione pubblica che ha le sue preferenze riguardo agli opinionisti.
Non sono mancate le polemiche quando all’ultimo Mondiale Di Gennaro ha potuto “giocare” con la sua voce la finale Argentina-Francia al posto di Adani, commentatore che suscita sentimenti più forti del commento “normale” dell’ex giocatore del Verona, meno divisivo ed entusiasta. Com’è logico che sia per chi come lui è cresciuto in un calcio non televisivo come quello odierno, laddove il suo “rivale” – che mai si definirebbe come tale, peraltro – il mezzo lo conosce talmente bene da averlo anche riadattato con i suoi interventi alla BoboTv e in generale con tutta la sua attività.
E poi c’è la maledetta buccia di banana della gaffe, la situazione nella quale cadi e dalla quale nascono migliaia e migliaia di post sui social, equivoci, smentite, giustificazioni che leniscono il dolore, ma giusto un po’, perché la rete rimanda tutto e lo fa per sempre, ti marchia una volta per tutte. Di Di Gennaro se ne ricordano soprattutto due. Una è successa quando ha confuso Macron con Sarzkozy. E non volendo fare di lui un gilet giallo anti-sistema, che probabilmente è convinto che l’uno e l’altro siano la stessa cosa, la cosa è stata inserita nell’ampio capitolo che ha molte pagine: non è che i giocatori di una volta possiedano tutta questa gran cultura (luogo comune o no che sia, lo pensano in tantissimi).
Ma fin qui, la si passa liscia. Guai se, invece, scappa il fuorionda. Come successe alla fine del primo tempo della sfida Champions tra Tottenham e Inter, quando Di Gennaro, ignaro di essere ancora in diretta, disse a mezza bocca «Che squadraccia!». Tutti capirono che era un apprezzamento rivolto ai nerazzurri e lui, durante la notte, tramite i suoi account social, cercò di rettificare per uscire dall’impaccio: «Le parole che ho detto erano riferite al Galatasaray del mio amico Fatih Terim, visto che il mio collega mi aveva fatto una domanda sull’ennesima sconfitta della squadra turca. Mi dispiace per il disguido, non mi permetterei mai».
Fuori da questi esempi, sui quali sarebbe benefico utilizzare un po’ di leggerezza invece che considerarli questioni di Stato, Antonio Di Gennaro è un competente nella sua materia e basterebbe l’ultima intervista rilasciata a Tuttosport recentemente per dire che qualcosa sta capendo, ad esempio sul Milan e le sue potenzialità offensive: Giroud è sempre una garanzia, Okafor è diverso, è un attaccante di movimento. Senza dimenticare Pulisic: anche lui sa fare gol. Leao quest’anno può migliorarsi e consacrarsi. Un giocatore del suo livello deve trovare continuità, ha delle doti stratosferiche. La 10? La sua scelta significa personalità. È un numero importante, ha capito che può fare la differenza».
Oppure, e qui scendiamo fino al 2016, si rilegga con attenzione quanto raccontò al Corriere dello Sport su una delle evoluzioni del calcio contemporaneo, lo spostamento della creatività da in mezzo al campo all’esterno. Trasformando così le ali – che oggi non si chiamano più così – nei trequartisti di un tempo: «Anche ai miei tempi c’erano ali straordinarie come Causio, Sala e Bruno Conti ma oggi fare il trequartista è più complicato perché c’è sempre meno spazio. Sulla fascia c’è più spazio e quindi raddoppiare le marcature è più difficoltoso, giocatori come Cuadrado, Salah o Felipe Anderson possono andare nell’uno contro uno, saltare il giocatore e creare superiorità numerica, per questo ormai quasi nessuna squadra si schiera a rombo. Gli unici esempi che mi vengono in mente sono l’Empoli e il Cagliari, anche se Birsa è un trequartista particolare. Per me oggi il giocatore che più incarna questa caratteristiche è Cuadrado, ha la capacità di saltare l’umo sia da fermo che in velocità. Bernardeschi non è un esterno puro ma un’ala che parte largo per poi tornare al centro per calciare in porta. Nella Lazio Felipe Anderson viene impiegato in due modi: nel 3-5-2 a tutta fascia e nel 4-3-3 come attaccante esterno, ed è proprio in questo ruolo che riesce a rendere di più perché ha modo di attaccare e gioca con la mente libera. Nel Napoli invece Insigne deve giocare da esterno perché ha la capacità di puntare l’uomo saltandolo e creando così superiorità numerica, lui più di Hamsik è il vero regista d’attacco».