2015

Il portiere desaparecido

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La storia di Claudio Tamburrini, unico calciatore professionista sequestrato dalla dittatura di Videla

Parlare di Argentina riguardo agli anni Settanta e Ottanta è sempre qualcosa di piuttosto complicato. La parola che meglio descrive il quadro argentino intorno alla metà dei Settanta è instabilità: durante gli anni di Isabelita Peron al potere si assisté a un conflitto sempre più aspro tra la Tripla A e l’ERP. Con ERP si intendeva l’Ejercito Revolucionario del Pueblo, mentre la Tripla A altri non era che la Alianza Anticomunista Argentina, un’organizzazione di estrema destra che in due anni pare abbia ucciso più di 400 persone. In questi clima già fortemente scostante nel 1976 prese il potere con un colpo di stato il generale Jorge Rafael Videla. L’instabilità in un certo senso finì e cominciò il terrore: il termine desaparecidos – scomparsi – incominciò sempre più a farsi largo tra la popolazione mondiale e a farne le spese furono specialmente i Montoneros, un movimento guerrigliero giustizialista e più grande oppositore del regime di Videla. Non è facile però parlare di desaparecidos o di Argentina in quegli anni perché vista adesso la situazione è logicamente terribile, ma allora, allora capitava di disputare un mondiale in un Paese dove in molti ignoravano l’esistenza di un Processo di Riorganizzazione Nazionale, una nazione nella quale in tanti vedevano sparire amici o conoscenti senza pensare alla matrice politica. E’ in questa Argentina che il Club Almagro sfiora la promozione in Primera B Nacional, la seconda serie del calcio argentino. Nell’Almagro gioca Claudio Tamburrini e, nonostante possa sembrare strano, parlare dell’Argentina di quell’epoca è anche parlare di lui.

PARTIDO DE TRES DE FEBRERO – Claudio Tamburrini nasce in uno dei moltissimi sobborghi di Buenos Aires, precisamente a Ciudadela nel novembre del 1954. Nasce in quella zona che si chiama Partido de Tres de Febrero in onore alla Battaglia di Caseros del 1852 che portò in seguito alla creazione della Confederazione Argentina. Si tratta di una guerra civile, perché gli argentini non sono mai riusciti veramente ad andare d’accordo gli uni con gli altri. Tamburrini ama la politica e la storia ma cresce con un’altra passione, quella per il pallone. Al contrario dei suoi compagni di giochi da piccolo Tamburrini il pallone sa prenderlo bene con le mani, farà il portiere e al Club Ciudadela Norte lo mettono subito in porta e non lo tolgono più. Capita che portieri del genere a Ciudadela ne abbiano visti pochi e quindi qualche manciata di chilometri più in là, nel quartiere di Liniers, cominciano a seguirlo con attenzione. Liniers è il barrio in cui ha sede il Velez Sarsfield, una compagine che all’inizio degli anni Settanta può contare su un buon gruppo di giocatori e su una scuola calcio discreta. E’ lì che Tamburrini inizia a muovere i primi passi nel mondo del calcio professionistico, nonostante sia ancora troppo giovane per esordire in prima squadra. Un giorno però viene fatto fuori e rimane senza squadra, ma il tempo in cui non trova un contratto è davvero esiguo, Tamburrini non sarà un Fillol o un Carnevali ma comunque rimane un buon portiere e il Club Almagro se ne accorge e lo tessera nel 1975-1976. Rimarrà al Tricolor per poco più di un anno, fino al maledetto 23 novembre 1977.

LA MANSION – Tamburrini però non è solamente un calciatore, ha una coscienza diversa da tutti coloro che nascono e vivono in Argentina in quel periodo. E’ stato spettatore di tutte le vicende che hanno cambiato la storia del Paese e ne è stato quasi abbacinato, oltre alla storia è un grandissimo appassionato di Filosofia e nelle sue intenzioni c’è anche quella di rendere la filosofia molto più che un semplice hobby. Tamburrini ha sentimento civile, a differenza dei compagni o dei conoscenti: si diploma al Colegio Tomás Espora e poi si iscrive all’Università di Buenos Aires, la facoltà ovviamente è quella di filosofia. La leggenda, che poi magari leggenda non è, vuole che di giorno si alleni per diventare calciatore professionista mentre la notte studi chino sui libri il pensiero dei vari Hegel, Platone, Nietszche. In quel periodo Tamburrini però deve fare i conti con due preoccupazioni, se preoccupazioni si vogliono chiamare. La prima è di carattere politico perché la sua facoltà è per tradizione battagliera e di sinistra, e una nomea del genere con Videla al potere non è ben vista. La seconda è di carattere tecnico perché Hugo Piazza, un simbolo dell’Almagro, è in cima alla lista delle preferenze per il ruolo di portiere titolare del Tricolor. A peggiorare la situazione c’è un gol su punizione preso mentre Tamburrini pensava di più ad aggiustarsi i calzettoni per questioni regolamentari che al tiratore. La settimana seguente a questa mezza papera Tamburrini è da poco tornato da un allenamento stancante nel quale ha dovuto dimostrare al mister che si merita la titolarità e mentre sta studiando nel suo appartamento si presentano alla sua porta due persone armate che lo fanno salire su una camionetta e lo portano a casa dalla madre. Da lì, dopo una breve sosta nella quale Tamburrini scorge due macchine sospette fuori dall’abitazione della madre, viene condotto – rigorosamente incappucciato – in un posto che comincerà poi a conoscere come Mansión Seré. Il 23 novembre 1977 Claudio Tamburrini è il primo calciatore professionista desaparecido.

PARA QUESTA – Un suo compagno di studi all’università, di nome Tano, non ha retto di fronte ai metodi convincenti delle milizie argentine e per proteggere i suoi amici ha fatto il nome di Claudio Tamburrini. Claudio è un portiere, è sì di sinistra ma è un portiere, però il suo nome compare sull’agenda telefonica di Tano e tanto basta per farlo arrivare alla Mansión Seré. L’impatto è traumatico, fin dal primo giorno di sequestro Tamburrini viene seviziato per estorcere informazioni che i torturatori vogliono ma non possono avere, perché evidentemente il portiere non le ha. Il portiere, ecco come lo chiamano i sequestratori, el arquero. «Si sos arquero, ¡atajate esta!» gli dicono, se sei un portiere para questa, e gli tirano un cazzotto forte nello stomaco. Succede ogni giorno, una scenetta che Tamburrini riesce a sopportare in un modo che non si può spiegare senza aver vissuto quell’orrore. Non sono tanto le torture però a renderlo inquieto e nemmeno il trattamento – dorme, mangia e beve il minimo indispensabile – ma è l’incertezza: passano i giorni e non sa come andrà avanti la sua carriera calcistica e soprattutto non sa che destino avrà. Lo uccideranno? lo rilasceranno? Si limiteranno a torturarlo e basta? E se sì, fino a quando? Non c’è mai una risposta. Quando prova a parlare c’è Lucas a rispondergli, uno dei torturatori che crudelmente gli impone di ringraziarlo per ogni cosa che fa, fosse anche un calcio nella schiena, e ne arrivano diversi. Poi a Guillermo Fernandez, uno dei suoi compagni alla Mansión Seré altresì chiamata Atila, viene in mente di fuggire.

OGGI – Il 24 marzo del 1978, quasi centoventi giorni dopo il sequestro, Claudio Tamburrini e i suoi tre compagni (oltre a Fernandez anche Carlos Garcia e Daniel Rusomano) danno vita a una rocambolesca fuga. Approfittano di un attimo di disattenzione dei carcerieri, perché un attimo di disattenzione c’è sempre, e si calano completamente nudi da una finestra del centro di tortura, sparendo nel vuoto legati a un lenzuolo, come nei cartoni animati. Anni e anni di repressione e quattro uomini marchiati come ribelli, quando in realtà erano poco più che simpatizzanti, riescono a sconfiggere il regime nel modo più classico. Fernandez però vuole lasciare un segno e prima di scappare scrive un enorme Grazie Lucas su una parete. I quattro spariscono nella notte di Buenos Aires e si ritroveranno solo molti anni dopo. Claudio Tamburrini, dopo qualche periodo di latitanza, fugge in Svezia dove però di giocare a pallone non se ne parla, si laurea in Filosofia e attualmente la insegna a Stoccolma. E’ tornato in Argentina solo per il processo alle Giunte, ha scritto il libro autobiografico Pase Libre da cui è stato tratto il film Cronica de una fuga, in cui il suo ruolo è stato interpretato da Rodrigo De La Serna. Oggi la Mansión Seré, il centro di tortura dove venne rinchiuso per 121 giorni Tamburrini, è un centro di recupero della memoria storica. Tamburrini è, ad oggi, l’unico calciatore professionista rapito dalla dittatura. E’ anche uno dei pochi che può raccontarlo.

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